Ius soli e culturae: cenni di una integrazione necessaria
Alla fine del 2015, è passata alla Camera dei Deputati la nuova legge sulla cittadinanza. Da allora, a causa dei numeri esigui della maggioranza e della forte opposizione dei partiti di destra, la legge non è stata ancora esaminata al Senato. La vecchia legge sulla cittadinanza (introdotta nel 1992) si basava sullo ius sanguinis, ossia sul fatto che un bambino può essere ottenere la cittadinanza italiana solo se uno dei due genitori è italiano; in alternativa, il ragazzo può richiedere la cittadinanza dopo il compimento dei diciotto anni di età e solo se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. La vecchia legge, di fatto, è carente, poiché lega il futuro decisionale di un individuo a quello dei suoi genitori, a cui potrebbe scadere il permesso di soggiorno, costringendo la famiglia al rimpatrio. La nuova legge si propone invece di affiancare allo ius sanguinis altri due criteri per ottenere la cittadinanza italiana: lo ius soli e lo ius culturae. Lo ius soli (applicato nel continente americano e, in forma “temperata” in Francia, Germania, Regno Unito, Irlanda e, se la legge dovesse passare, anche nel nostro Paese) prevede che i bambini nati in Italia da genitori stranieri ottengano la cittadinanza italiana se almeno uno dei genitori risiede in Italia legalmente da cinque anni. A questo si aggiungono altri tre parametri, ossia: avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superare un test di conoscenza della lingua italiana. Lo ius culturae dipende dal sistema scolastico italiano: potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico. Secondo dati ISTAT, più di un milione e mezzo di ragazzi di età inferiore ai diciotto anni sono interessati da queste norme. Questa legge può sembrare marginale ma segnerebbe un passo decisivo e importante nella storia politica del Paese, che entrerebbe in una nuova ottica giuridica più moderna e progressista, mettendosi al passo con altri Paesi del mondo. Il mondo in cui viviamo è un mondo di migranti, di persone che fuggono e che si spostano cercando un avvenire migliore. Anche l’Italia, che è stato un paese di emigranti, può acquisire ricchezza e bellezza dalla diversità che il mondo prova a offrirci. Ma per fare questo i meri calcoli politici dovrebbero venir meno alla luce di una legge necessaria all’integrazione di quei tanti bambini che fanno parte del nostro futuro.