La castagna “Ufarella”… se non la gusti non sai cosa perdi
Coincide con l’inizio dell’autunno la raccolta delle castagne che di questa stagione costituiscono il frutto per eccellenza. Il termine dal latino “castanea(m)” e questo, a sua volta, dal greco “kastanon” si vuole derivato da Kastania, villaggio della Tessaglia o da Kastanis, città del Ponto, dove pare che il frutto abbondasse. Definita “noce piatta” da Ippocrate e “noce nuda” da Catone il Censore nel De Agricoltura, la castagna era conosciuta nell’antichità, sia nel mondo greco che in quello latino, per le sue numerose potenzialità. Più nota nel Medioevo per le sue proprietà afrodisiache, dettate soprattutto dalla sua forma di “testicolo”. Il primo a notare la somiglianza fu Isidoro di Siviglia (VI sec.) che accostò il nome castagno a “castrare”, dicendo che quando si estraevano dal riccio i due frutti gemelli, era come se si facesse una castrazione. Nell’area dei Monti Trebulani vantano una tradizione molto antica le castagne “ufarelle” o “vofarelle”, che si caratterizzano per il pericarpo liscio e lucido di colore scuro con striature di tonalità più chiare. Per quanto concerne la forma è quella tipica delle castagne, dunque, piatta da un lato e convessa dall’altro. La castagna “ufarella” potrebbe essere una delle varietà pregiate che Plinio il Vecchio colloca in Campania, la Tereiana. Da un passo tratto dal XVII libro della Naturalis Historia risulta che un cavaliere di origine atestina, Corellius, aveva eseguito un innesto su un castagno nell’ager di Napoli. La castagna prodotta per mezzo di questo nuovo incrocio prese il nome di Corelliana dal nome gentilizio dell’eques. In seguito, Tereus, dell’ordine equestre eseguì un nuovo innesto su un castagno che produceva Corellianae dando vita ad un nuova castagna chiamata Tereniana. La prima era più produttiva, la seconda più pregiata. Plinio, inoltre, considera le castagne affini alle ghiande e si chiede perché la natura abbia nascosto con tanta premura in una “cupola irta di spine” un frutto di “scarso valore”. Le castagne, nella versione di caldarroste, che hanno la particolarità di essere cotte sulla brace nell’apposita padella bucherellata e per questo assumono un retrogusto amarognolo, sono presenti in uno degli abbinamenti più conosciuti, quello con il vino. Questo accostamento si realizza generalmente con il vino rosso, che per l’elevato contenuto di tannini, sostanze assenti nei bianchi, mitiga la succulenta pastosità tipica della castagna. Dunque, abbiniamole con un ottimo calice di Casavecchia, altra prelibatezza dell’area Trebulana!