Pizza napoletana, patrimonio dell’UNESCO

L’Italia è il Paese che detiene il maggior numero di riconoscimenti dell’UNESCO. Fino allo scorso 9 dicembre 2017 annoverava ben 53 Siti, 6 Patrimoni orali e immateriali dell'umanità e 6 beni inseriti nel Registro della Memoria del Mondo. Alcuni di questi patrimoni sono condivisi tra più regioni o anche con altri stati esteri. Ad essi, dal 9 dicembre 2017, si è aggiunta l’Arte del pizzaiolo napoletano, per cui in Campania arriviamo a 9 Beni tutelati (Napoli – Il Centro Storico (1995); Amalfi – La Costiera Amalfitana (1997); Pompei, Ercolano e Torre Annunziata – Le aree archeologiche (1997); Caserta – La Reggia, il Parco, San Leucio e l’acquedotto Vanvitelliano (1997); Cilento – Il Parco Nazionale e il Vallo di Diano, Paestum, Velia e la Certosa di Padula (1998); I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 D.C.) – Benevento, Complesso di Santa Sofia (2011); La dieta mediterranea (2010); Le macchine dei Santi – Nola, I Gigli (1013); L’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017).
È quest’ultimo un importante riconoscimento perché, se fare il pizzaiolo è un'arte, ora questo antico mestiere nato a Napoli è riconosciuto patrimonio dell'umanità.
Il riconoscimento è arrivato con un voto unanime del Consiglio con la seguente motivazione: «il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da «palcoscenico» durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale».
Non è un riconoscimento da poco visto che, con la diffusione mondiale della pizza napoletana, Napoli era stata scippata del suo piatto più tipico, di risonanza mondiale. Il riconoscimento dell’UNESCO ha rimesso le cose a posto nel momento in cui ha riconosciuto che la pizza è nata a Napoli e, di conseguenza, chi vorrà imparare come se ne fa una a regola d’arte dovrà necessariamente “studiare” a Napoli. Vale a dire che non si tratta di un riconoscimento fine a se stesso ma da esso, se utilizzato con intelligenza, può nascere un importante vantaggio economico in grado di ridurre il gap che nel settore ci separa dagli USA.
Infatti attualmente, se in Italia la pizza dà lavoro a circa 200 mila unità e ogni giorno ne vengono sfornate circa 8 milioni, significa, come si legge dai dati Cna del 2016,  che annualmente vengono prodotte 2,3 miliardi di pizze, per un giro d’affari di circa 12 miliardi di euro. In tutto il mondo, invece, il giro d’affari sulla pizza vale circa 60 miliardi di euro e i maggiori profitti vengono realizzati proprio negli Stati Uniti. Il riconoscimento dell’UNESCO può servire a ridurre questa differenza non contando solamente il numero di pizze prodotte annualmente ma aggiungendo i proventi derivanti da una “scuola della pizza napoletana” – magari intitolata a Raffaele Esposito, il pizzaiolo che per la Regina Margherita nel giugno del 1889 creò quella che è diventata la “pizza margherita” – con sedi a Napoli e i altri centri della Campania, dove ogni pizzaiuolo che vuole chiamarsi tale deve passare per seguire un master formativo.
Ma non solo. Il gap può addirittura invertirsi di segno se con questo riconoscimento si riesce ad innescare un efficace sistema di tutela dei prodotti necessari al confezionamento della pizza, dichiarando innanzitutto guerra alla contraffazione della mozzarella, ormai prodotta in tutto il mondo con latte congelato. E poi, per fermarci agli ingredienti principali, c’è l’olio e i pomodori, che non possono essere quelli cinesi se si vuole fare una vera pizza napoletana.
Insomma, il riconoscimento dell’UNESCO alla pizza napoletana può essere utilizzato come catalizzatore di ripresa non solo culturale ma anche economica.
A questo tema la Delegazione di Caserta dell’Accademia Italiana della Cucina, fondata da Orio Vergani nel 1953, del quale il 6 febbraio 2018 ricorrono i 120 anni dalla nascita, ha dedicato la sua prima riunione conviviale di quest’anno, che si terrà venerdì 26 gennaio 2017 presso il Ristorante – Pizzeria “Lazzarella” di Caserta.
La Delegazione di Caserta dell’Accademia Italiana della Cucina è attiva dal 31 maggio 2017. È stata costituita dal prof. Antonio Malorni, noto scienziato casertano, il quale si è circondato di un team di 12 Accademiche e Accademici, tutti di grande spessore professionale e culturale nonché appassionati di eno-gastronomia. La prof. Stefania Modestino è la vice-delegata; il dott. Pietro De Pascale il consultore tesoriere; la prof. Paola Piombino il consultore segretario; la dott. Antonella Basilone e l’ing. Edoardo Filippone, consultori. Accademici della Delegazione sono: il prof. Vincenzo De Rosa, don Nicola Lombardi, i dott. Stefano Malorni, la prof. Teresa Maiello, la dott. Marica Mastropietro, il prof. Raffaele Sacchi e la dott. Maria Lia Vella. Accademici in corso di ratifica sono il dott. Carlo Petrillo, il dott. Mario Sanza e il dott. Francesco Zaccaria.
            La Delegazione ha avuto il suo battesimo presso il Ristorante Le Colonne di Caserta, lo scorso 31 maggio 2017, con la cena conviviale della consegna della campana da parte del Presidente Paolo Petroni, alla presenza di molti dei delegati della Campania. Poi si è riunita una seconda volta presso il Ristorante PAM 1870 di Caiazzo, il 12 luglio 2017, per la cena conviviale dedicata al 53° anniversario della nascita del marchio DOC per i vini. La terza, è stata presso il Ristorante Il Cortile di Caserta, il 5 ottobre 2017, per la cena conviviale dell’inizio dell’Autunno. Poi si è riunita per la quarta volta il 19 ottobre 2017 presso il ristorante dell’Agriturismo Le Campestre per celebrare la cena ecumenica sul tema "I formaggi nella cucina della tradizione regionale". La Delegazione di Caserta non poteva organizzare tale evento se non a Castel di Sasso, dove la famiglia Lombardi, proprietaria de Le Campestre, ha resuscitato un formaggio, noto già ai tempi degli antichi Romani, chiamato, appunto, conciato romano, incluso nell’elenco regionale dei prodotti tradizionali della Campania nonché unico presidio Slow Food della provincia di Caserta. Proprio per la produzione di questo formaggio Manuel Lombardi era già stato insignito dall’Accademia Italiana della Cucina nel 2016 del 28° Premio “Dino Villani”.
Infine, lo scambio di auguri si è tenuto il 19 dicembre 2017 nella sala riunioni della Chiesa di San Lorenzo Martire di Casolla di Caserta, ospiti dell’Accademico don Nicola Lombardi.

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