Le diete povere o ricche di carboidrati

Negli anni settanta erano in voga diete molto ricche in carboidrati, sia per gli atleti che per grossi strati di popolazione. Si riteneva che una dieta composta dal 60 al 70% di carboidrati e dal 15% al 20% di grassi e proteine fosse in assoluto la più salubre per tutti compresi gli atleti. Successivamente negli anni novanta si sono diffuse le diete a basso consumo di carboidrati, tra queste  la “Dieta a zone”. Il principio alla base di questo tipo di dieta riteneva che una caloria non fosse sempre una semplice caloria, perché contava anche la provenienza della caloria stessa.  Le persone avevano appoggiato le diete ricche in carboidrati, pensando che gli zuccheri fossero più salubri dei grassi, a causa, degli effetti deleteri che questi ultimi avevano sulla salute. Sebbene questo sia logico, c’è da dire che un eccesso di qualsiasi cosa porta a conseguenze sgradevoli compresso l’eccesso dei carboidrati. Infatti un eccesso di carboidrati si trasforma in grasso e stimola la produzione di insulina. Quest’ultima a sua volta inibisce la capacità dell’organismo di trasformare il grasso in energia, e stimola l’assorbimento e l’immagazzinamento dei grassi in forma di triacilgliceroli. Un pasto ricco in carboidrati è causa potenziale della ipoglicemia reattiva, che si verifica quando un tasso elevato di glucosio nel sangue stimola un grosso rilasci d’insulina, a cui fa seguito l’eliminazione di una eccessiva quantità di glucosio dal sangue, determinando subito dopo un calo degli zuccheri. Per questo la Dieta a zone fu elaborata per prevenire l’ipoglicemia reattiva ed evitare gli effetti prodotti dall’insulina sull’accumulo dei grassi. Quindi si può affermare che una dieta ricca di carboidrati e povera di grassi o viceversa, può portare comunque a delle conseguenze gravi o meno gravi al nostro organismo, per cui senza finire negli eccessi ci si può alzare da tavola con un senso sazietà ugualmente.

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