Esiste una Pasqua senza casatiello?
Come si sa, ogni festa ha il suo mangiare, e così anche il giorno di Pasqua ha il suo ricchissimo pranzo che vede protagonisti la minestra maritata, la pastiera e udite, udite, il casatiello! Non c’è, e forse, non è mai esistita una Pasqua senza il casatiello, il quale non ha certamente bisogno di presentazioni, ma per chi non dovesse conoscerlo diciamo che si tratta di una torta rustica, abbondante di ingredienti, che deriva il nome dalla voce latina caseus, ossia formaggio, per la cospicua quantità che se ne trova al suo interno. “Casatiello”, quindi, è un piccolo pane al formaggio, ma occorrono nella sua preparazione strutto, ciccioli e salumi vari, e differisce dal suo strettissimo cugino, il Tortano, per le uova che vengono posizionate sulla sua sommità, fermate da una croce di pasta e cotte direttamente in forno. In alcune zone della Campania, specie del casertano, se ne realizza anche una versione dolce chiamata “Pigna”, che nasce come un dolce raffermo che si mantiene tale anche quaranta giorni, ma in compenso è aromatico e profumato, e più passa il tempo più si esaltano queste caratteristiche. Lo si riconosce dalla sua glassa bianca, decorata in superficie con i “diavulilli”, termine napoletano che indica i confettini colorati. Non si esagera se i natali del principe dei rustici risalgono ai greci. Una focaccia simile al casatiello doveva essere parte delle offerte in onore di Demetra. Questi pani, generalmente dolci, avevano al loro interno vari ingredienti ed erano chiamati in greco plakountes, caratterizzati da sottili strati di pasta di pane alternati a strati di miele e formaggio di capra. Essi poi emigrarono nel mondo romano che li accolse con il nome di caseata. Un’importante testimonianza della presenza del casatiello sulla tavola ammannita per Pasqua viene da una breve composizione del 1500 intitolata “Usanze pasquali e cassatelli napoletani” di Giovanni Battista del Tufo, contenuta nel suo “Ritratto o modello delle grandezze, delitie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”, la quale recita così: “A Pasqua poi non son più dolci quelli/ chiamati cassatelli/ cotti con uova, cacio e provature,/ zuccaro fino, acqua di rose e fiori,/ e con altra mistura,/come si fanno allor per ogni canto/ la sera al tardi del sabato santo”. Ma nel 1600 viene citato alla tavola dei festeggiamenti del re anche nella favola “La gatta cenerentola” di Giambattista Basile, contenuta ne “Lo cunto de li cunti”: “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che ’nce poteva magnare n’asserceto formato”. Questo rustico, adatto alle gite fuori porta del lunedì di pasquetta, per la ricchezza dei suoi ingredienti e per questo sicuramente non facile da digerire ricorda una persona dal carattere pesante, motivo per il quale si usa a Napoli l’espressione “si proprio nu casatiello!”.