Presentazione de: “Il fiume narrante – Vita e Mito alla foce del Volturno”
Puntuale, come da programma, ieri 23 Aprile – alle ore 18,30 – ha avuto luogo la presentazione dell’affascinante romanzo di Mario Luise “Il fiume narrante – Vita e Mito alla foce del Volturno”. Il libro è ritornato prepotentemente all’attenzione del grande pubblico e degli appassionati di letteratura di tutte le popolazioni della pianura che parte da Capua e va sino alla foce, dove il fiume più lungo della Campania (con una lunghezza di 175 km e un bacino esteso per 5.550 km².), sfocia nel Mar Tirreno.
Molto importante è il sottotitolo del libro: “Vita e Mito alla foce del Volturno” che ci riannoda alla storiografia di inizio '900 che parla di un dio romano omonimo del fiume campano e a Roma, patrono del vento caldo di sud-est (il moderno scirocco). In realtà di questo dio abbiamo testimonianza dagli storici romani che venne introdotto a Roma in seguito alle lotte tra romani ed etruschi, quando dopo la conquista di Volsini l'immagine del dio ivi venerato fu portata a Roma per evocare la sua protezione a favore dei romani e toglierla agli etruschi.
Volturno è anche il dio patrono dell' omonimo fiume campano . Di questa divinità resta la testimonianza di una protome d'arco proveniente dall'anfiteatro dell'antica Capua. Volturnum era anche l'antico nome dell'attuale città di Capua, prima ancora di Casilinum; Secondo alcuni studiosi il nome della città (e quindi del dio-fiume) si riferirebbe al falco avvistato il giorno della fondazione e interpretato come segno divino di buon auspicio.
Il poeta Stazio descrive la statua del dio collocata sul ponte costruito da Domiziano sul fiume Volturno: lo rappresentava sdraiato come ad un banchetto con in testa una corona di canne palustri intrecciate. Il poeta immagina che il dio-fiume si lamenti con voce roca del peso delle arcate del ponte, rimpiangendo il lieve peso delle zattere che solcavano le sue acque. Anche altri poeti latini cantarono il dio-fiume Volturno:Lucano e Silio Italico.
Mario Luise nel suo eccellente lavoro intende rievocare nel “mito” un’antica serie di riti, tradizioni e cultura che vanno dal paganesimo alla religione cristiana, che contribuiscono all’arricchimento del rapporto uomo-natura.
Nei ventisei capitoli del libro, impreziosito da un importante repertorio fotografico, l’autore dà prova di grande sensibilità e di una grande esperienza sia umana, che sociale e politica.
Ammirevole è la copertina dell’opera, che ripropone la bella immagine ornitologica dei “Cavalieri innamorati” una foto di Ciro De Simone, 1° Premio al Concorso Internazionale di fotografia “Castelvolturno daMARE” del 2017.
Egli scrive: “… Quando un territorio diventa smisurata espressione di un modo errato di vivere… allora altro non è che la metafora delle disfunzioni dello Stato” scrive Luise in epigrafe, il che ci fa presto aggiungere che “lo Stato siamo noi” o “dovremmo esserlo, almeno dal 1946, anche in questa martoriata provincia di Caserta, già molto più ampia Terra di Lavoro fino ai primi anni del Ventennio nero”.
Perfino poetico l’incipit del volume: “Alzandomi sulla punta dei piedi, il fiume lo vedevo dalla finestra. Del mare non sapevo ancora nulla, come pure gli altri bambini. Per me la sponda che avevo di fronte – coperta di salici, cannucce e pioppi – non era l’infinito orizzonte, dove ti sperdi, ma una meta rassicurante che avrei potuto raggiungere. Prima o poi. Certamente quando sarei diventato più grande. Quindi, anche a quattro anni! Restavo a guardare in silenzio, buono buono, per tutto il tempo che mia madre riordinava la stanza da letto. Erano solo cento metri di fiume. Mi incantava la scafa. Per me esistevano solo la scafa e il sandalo. Non avevo idea di altre imbarcazioni. Il sandalo scivolava via, e usciva fuori dal piccolo campo visivo davanti al mio sguardo. La scafa, invece, stava lì…”. Un esordio splendidamente narrativo che anticipa il pathos di una ballata – Gli zingari – i cui ultimi versi toccano profondamente il cuore : “Qui sul mare c’è il paradiso/ c’è la fine di ogni pena”./ Riti gitani/ la notte sul mare …/ “Oh stelle! oh mani!/ ci dite che fare?”/ “Non voglio, padre, più ritornare,/ l’asino lascio per il gabbiano:/ Girovagare su questo mare/ è il sogno mio di gitano”./ “Non posso, figlio, andare altrove”/ se il somaro non tocca il suolo. /Il destino è tornare dove /la morte non mi trovi solo… /Sono uno zingaro /ma resto un ignaro: /Il mare che ci ha sorriso /è il mare che ci ha diviso ”. Una ballata che ricalca emozioni e sentimenti maestosamente interpretati dal grandissimo Enzo Jannacci nel suo celeberrimo brano. Una ballata-inno dedicata con infinito amore al tratto in cui il Volturno si sposa col Tirreno, come millenni fa, come oggi, per sempre. Una ballata che andrebbe letta, cantata e commentata ancora adesso da genitori e figli accanto al focolare».
L’evento proposto e curato dal COCEVEST (Comitato per la celebrazione degli eventi storici) di Grazzanise (Ce), si è avvalso della collaborazione delle Piazze del Sapere coordinate da Pasquale Iorio, della dirigente dell’Istituto Comprensivo di Grazzanise, Roberta Di Iorio, la testata on line La Voce del Volturno diretta da Mattia Branco, il Gruppo “Letteratitudini” fondato da Tilde Maisto, e il Comune di Grazzanise rappresentato dal sindaco Vito Gravante, che si sono avvicendati con brevi interventi.
Sono intervenuti in qualità di relatori: Pasquale Iorio, Francesco Di Pasquale, Rossella Calabritto, in rappresentanza della Spring Edizioni ed infine l’autore Mario Luise.
L’evento è stato moderato egregiamente dal professore Raffaele Raimondo, cronista free lance.