L’uomo e l’idea dell’infinito
Roma. L’infinito ha assillato la mente umana per millenni. Comprenderlo, ridimensionarlo, scoprire se esiste in forme e dimensioni differenti e decidere se bandirlo o accoglierlo nello descrizioni dell’universo, ha costituito, costituisce e costituirà sempre una sfida, per i teologi così come per gli scienziati. E’ parte del problema o parte della soluzione? L’infinito è anche una questione di attualità. Continueremo a scoprire all’interno di ciascuna particella elementare altre particelle sempre più piccole, come in una serie di bamboline russe? Oppure esiste un limite, una “cosa” più piccola di tutte, una dimensione minima, o un tempo di durata minima, in corrispondenza dei quali la divisibilità cessa? Forse le entità fondamentali di cui il mondo è costituito in realtà non sono affatto piccole particelle?
Anche i cosmologi hanno i loro problemi con gli infiniti. Per decenni hanno felicemente convissuto con l’idea che l’universo spazio-temporale abbia avuto inizio in una “singolarità”, nella quale la temperatura, la densità ed ogni altra proprietà erano infinite. In effetti non è stato scoperto un numero sufficiente di puzzle, da sostituire una parte essenziale della soluzione di problemi fondamentali, come l’inizio e la fine dell’universo, i momenti del Big Bang e del big Crunch. I cosmologi hanno un altro strano infinito con cui fare i conti: la possibilità di un futuro infinito. L’universo sembra destinato a durare per sempre? Che significa “per sempre”? E’ possibile che la vita di una qualsiasi forma continui per sempre? E, per quanto ci riguarda più direttamente, che cosa significherebbe per noi – da un punto di vista sociale, personale, mentale, legale, materiale e psicologico – vivere per sempre? Risposte concrete non sono riusciti a darsene.
Anche i matematici hanno dovuto cimentarsi con la realtà dell’infinito. La questione cruciale, la più rilevante che abbiano mai affrontato! Proprio ottant’anni fa combatterono una sorta di guerra civile sul significato degli infiniti, guerra che fece più di una vittima e seminò molti rancori. Alcuni volevano bandire gli infiniti dalla “scienza esatta”, ridefinendo i contorni della disciplina in modo da escludere ogni possibilità di trattarli come “oggetti” reali. Qualche rivista fu chiusa e alcuni matematici stigmatizzati. All’origine di tutto il trambusto, l’opera di un solo uomo, geniale. Georg Cantor, matematico tedesco vissuto a cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, mostrò come venire a capo dei “paradossi dell’infinito” che Galileo aveva per primo individuato trecento anni avanti. Qual è la natura di un insieme infinito? Come è possibile che togliendone una parte, esso continui ad essere infinito? Può un infinito essere più grande di un altro? Esiste un infinito ultimo, oltre il quale non si può concepire nulla di più grande, oppure gli infiniti continuano per sempre? Ma Cantor non visse abbastanza a lungo per vedere i frutti del suo genio divenire parte del corpo riconosciuto della matematica. Emarginato e screditato da influenti avversari dell’“insiemistica”, abbandonò la ricerca per lunghi periodi e, nonostante il favore entusiastico dei teologi cattolici, soffrì di depressione per poi morire in solitudine.
E i teologi, antichi e moderni, hanno da sempre lottato col dubbio, per comprendere gli infiniti, celati nelle loro dottrine e nei loro credi. Dio è infinito? Certamente e deve essere “più grande” di altri infiniti più terreni. In realtà, tutte le religioni, ancorchè differenti, hanno sempre asserito principi di fede soprannaturale.
I filosofi dell’antichità, a partire da Zenone, si misurarono su molti fronti, con i “paradossi” degli infiniti. Ma qual è la posizione dei filosofi di oggi e cosa unisce e cosa divide scienza e filosofia? La comune matrice, cioè la conoscenza come esigenza imprescindibile, non impedisce in alcun modo, anzi lo impone, uno sviluppo in due direzioni opposte. L’evoluzione del pensiero filosofico ha, di fatto, sancito una diversificazione tale che solo accademicamente può essere ricomposta. Da che parte sta, allora, la verità? Bisogna accontentarsi del riconoscimento, più o meno scontato, che filosofi e scienziati propongono porzioni significative di verità. E ciò, appunto, deve bastare!
Molti pensano che infinito e assenza di limiti siano la stessa cosa. Stranamente, non è così. Vi sono oggetti finiti, come la superficie di una palla da biliardo, che non hanno alcun confine. Una mosca potrebbe camminarci attorno senza mai arrivare a un bordo. Einstein ci ha mostrato che lo spazio esterno è curvo e che il tempo, come una linea retta, può essere finito pur senza avere un termine. Ogni evento o è nel futuro o nel passato di qualsiasi altro evento. Immaginiamo una fila di soldati che marciano l’uno dietro l’altro: ciascuno di essi può dire chi è davanti a lui e chi è dietro di lui. Ma se marciano in cerchio: ora ognuno di loro è sia davanti che dietro a chiunque altro! Non c’è più successione. Se il tempo diventa circolare, in maniera analoga risultano possibili i “viaggi nel tempo” e si può concepire ogni sorta di paradosso. Per esempio, uno legge un libro e poi viaggia all’indietro nel tempo per riferire ad un amico, parola per parola, tutto ciò che il libro contiene. Ma allora da dove è venuta l’idea del libro? Sembra sia stata creata dal nulla …un po’ come l’universo infinito.