Il Catechismo di Napoleone

Viene da chiedersi il perché dell’assoluto disinteresse che la storia ha riservato alla politica ecclesiastica di Napoleone. Eppure ampi e, perché no, faticosi furono i lavori, al tempo dell’ambasciata del Cardinale Fesch a Roma, che portarono al catechismo del 1806, al tentativo cioè di trasformare il primo catechismo cattolico in uno strumento di propaganda e di servile adulazione verso il grande imperatore. Nel complesso si ha la conferma che, nonostante il clamoroso avvenimento del Concordato del 1801, la politica del Bonaparte non fu gran che felice e accumulò errori su errori che poi vennero pagati dai regimi che gli succedettero.
Napoleone non conosceva che singolare parte della società fossero i preti. Grandi mezzi politici, accorgimenti machiavellici, scaltrezze teologali e canoniche furono messe in gioco per inserire nel catechismo dell’Impero tutta una lunga sezione panegirica dell’uomo suscitato da Dio e sul dovere sacrosanto, pena la dannazione eterna, dell’ubbidienza a lui. Questo per innestare una giaculatoria dell’adulazione e la celebrazione di un evento transeunte nella dottrina, che si vanta eterna, della Chiesa cattolica. In verità era un sopravvalutazione di un “lavaggio del cervello”. Del resto, i sentimenti non si infondono per comando, neanche col catechismo, dichiarava Madame de Stael. Per ottenere questo, si mise in agitazione tutto il mondo ecclesiastico. Napoleone e il suo ministro Portalis dovettero far capo a Roma, curandosi poco se in tal modo compromettevano l’autonomia della Chiesa gallicana, facendo intervenire il Papa, Pio VII, in una questione interamente interna, annullando così le prerogative di insegnamento dei vescovi, che fino ad allora avevano provveduto autonomamente alla redazione dei catechismi. Naturalmente, dopo aver annullato tali principi, era pura follia pretendere, come faceva Napoleone, di rianimare gli spiriti gallicani, spiriti eminentemente giuridici e, perciò, formali. Napoleone faceva come il pazzo Orlando con la sua giumenta, la quale sarebbe stata senza difetto se non avesse avuto il piccolo inconveniente di essere morta. Tornando al tema, quando la polizia imperiale si accorse che la curia romana tergiversava, fece approvare il catechismo del “cardinale legato a latere”, investito dei pieni poteri papali, il Caprara, per metà intimidito e per metà corrotto con le grosse rendite dell’arcivescovado di Milano. Ma questo parvente assenso papale, per mezzo del decrepito “cardinale legato”, non bastava, perché se l’alto prelato raccomandava ai presuli il catechismo, non lo imponeva. Per varare la grande macchina bisognò quindi servirsi dell’altro decrepito porporato, il de Belloy, arcivescovo di Parigi, e di pressioni esercitate sui singoli vescovi, posti nella condizione di dare un assenso o un rifiuto, soli e individualmente presi. Pochissime furono le resistenze e le opposizioni aperte. I maggiori dissensi vennero dal Belgio, che aveva sperimentato la “legislazione giuseppina”, di Giuseppe II d’Asburgo, ed era insorto contro di essa. In Francia, il solo arcivescovo di Bordeaux, il d’Aviau, respinse il catechismo.
Il catechismo, insieme con le pastorali dei vescovi, con i Te Deum per le vittorie, con la Saint-Napoleon, doveva tenere a freno le moltitudini rurali, su cui il governo non aveva troppa presa, e piegarle al pagamento dei tributi e alle leve necessarie per la guerra perpetua. Ma, ad un certo punto, anche il governo cominciò a preoccuparsi della troppa politica che si faceva dai pulpiti e le autorità religiose a turbarsi per il linguaggio, non troppo castigato, dei bollettini che si dovevano leggere in chiesa. Indubbiamente l’affidare ai preti questo compito istituzionale presso i contadini, poteva diventare pericoloso. I vantaggi di questo meccanismo di politica ecclesiastica furono scarsi e, se mai di vantaggi si poteva parlare, essi ebbero vita fino a che Napoleone fu in grado di incutere paura. E li avrebbe avuti comunque, anche senza immischiarsi in beghe di teologia o di diritto ecclesiastico. Con l’imporre il catechismo, rese la collaborazione del clero meno sincera, perché i vescovi e il Papa si videro offesi nelle loro prerogative. D’altro canto, i preti, a cui in ultima analisi spettava l’insegnamento catechistico, provenivano in gran parte dai ceti rurali che soffrivano di più la politica del Bonaparte. Essi sapevano che il sistema imperiale non poteva spingersi fino a controllare anche l’istruzione religiosa. Nonostante insegnassero a memoria la pagina sui doveri verso Napoleone il Grande, l’efficacia era ben poca. L’errore del Bonaparte fu quello di aver sopravvalutato l’aiuto che poteva offrirgli il clero, dimenticando una Chiesa sempre all’opposizione, con qualunque regime, perché naturalmente orientata verso la restaurazione della propria teocrazia. Quando il colosso napoleonico crollò, la chiesa concordataria passò in massa dall’altra parte e si pose come valido appoggio al restaurato trono dei Borboni. Si proposero anche i vicari del cardinale Fesch, zio di Napoleone, e lo stesso Fesch fece qualche approccio non accolto da Luigi XVIII. Ma la curia romana non per questo intendeva perdere i vantaggi che le potevano venire dagli errori dell’Imperatore. Non vanno dimenticate, le rimostranze che la stessa credette di dover fare presso il governo di Luigi XVIII, quando il ministro dell’Interno, abate di Montesquiou, invitò i vescovi a togliere la sezione adulatoria dal catechismo che il Papa era stato sul punto di condannare e di cui aveva dato grave colpa al cardinale Caprara. Emanato coi poteri straordinari del cardinale legato, il catechismo non avrebbe dovuto essere modificato senza il consenso del Pontefice. Era giunto il momento di mietere i frutti della politica concordataria con il Bonaparte che era parsa, per quindici anni, così squallida ed umiliante per il papato. La Chiesa gallicana non era più in grado di risollevarsi e l’assolutismo pontificio vedeva la via libera davanti a sé. Napoleone incautamente aveva demolito gli argini con la monarchia. I vescovi e i parlamentari francesi avevano contenuto l’invadenza della Chiesa di Roma.

 

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