Una speranza negata
Luiz Inàcio da Silva, soprannominato Lula, non potrà candidarsi alle Elezioni Presidenziali, del prossimo 7 ottobre, in Brasile.
La decisione è stata presa dal Tribunale Elettorale, sulla base della “Legge della Ficha Limpa” (fedina penale pulita), che dichiara ineleggibile chi è stato condannato, in seconda istanza, per delitti di corruzione o contro la Pubblica Amministrazione.
E’ questo il caso di Lula, che sta scontando una condanna di 12 anni, nel carcere di Curitiba.
La decisione era scontata, ma i tempi della stessa hanno sorpreso un po’ tutti. Pur sapendo della probabile bocciatura, il Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores, PT) di Lula aveva presentato ufficialmente la sua candidatura, nella speranza di tener accese le aspettative dei suoi sostenitori più a lungo possibile e, così, capitalizzare l’enorme credito politico che l’ex Presidente ha, ancora oggi, rispetto a buona parte della popolazione; secondo i sondaggi almeno un terzo dei brasiliani voterebbe per lui.
Con Lula fuori dai giochi, a questo punto, tutto si riapre. La Corte elettorale ha dato dieci giorni di tempo, al PT, per indicare un sostituto, che sarà con tutta probabilità l’ex Sindaco di San Paolo, Fernando Haddad, già in campagna da un paio di settimane. Haddad ha detto che visiterà Lula, oggi, in cella e decideranno insieme la strategia da adottare. Non c’è molto tempo da perdere. Venerdì scorso è iniziata la campagna elettorale gratuita in televisione e ogni giorno perso pesa molto sulla speranze di conquistare gli elettori.
La scommessa di Haddad è quella di ereditare, come fece Dilma Rousseff nel 2014, il capitale politico di Lula, ma non si tratta di un compito facile; molti votanti “lulisti” lo sono più per devozione al personaggio che per convinzioni ideologiche ed ora potrebbero anche scegliere altri candidati di centrosinistra, come Ciro Gomes, Marina Silva o, addirittura, astenersi.
Tutto è aperto, dunque, nell’elezione più incerta in Brasile, dal ritorno della democrazia; la prima senza Lula protagonista, come candidato o come “sponsor di peso” per il suo partito, e con un ultraconservatore, come l’ex militare Jair Bolsonaro, attestato intorno al 20% dei consensi. Manca ancora molto, ma lo spettro del successo di un “Trump alla brasiliana”, con meno mezzi economici ma posizioni simili su molti aspetti, inizia a farsi tangibile, preoccupando investitori e mercati.