Colpa medica: se la diagnosi corretta e tempestiva avesse potuto anche solo potenzialmente escludere il danno
Con una significativa decisione, la Cassazione chiarisce in maniera eloquente i criteri per la verifica della sussistenza di responsabilità dei sanitari e quindi la risarcibilità dei danni conseguenti alle possibilità di guarigione perdute di un paziente a causa di una diagnosi non corretta o tardiva. Infatti, per i giudici della terza sezione civile con la sentenza 29838/18, pubblicata il 20 novembre – ritiene meritevole di diffusione – non può essere esclusa la sussistenza del nesso eziologico fra la condotta dei sanitari e l’esito invalidante della patologia sulla base dell’incertezza di quelli che avrebbero potuto essere i risultati di una corretta e tempestiva diagnosi. Ma la possibilità di conseguire un risultato migliore, nei termini di un minor grado di deficit invalidante, attiene al piano dell’evento, non del nesso causale. Il fatto che non sia possibile stabilire con sicurezza quale sarebbe potuto essere l’esito di una diagnosi corretta derubrica l’evento pregiudizievole da danno certo a perdita di chance. Ma la circostanza non si riflette sul nesso di causalità fra la condotta dei sanitari e l’esito invalidante della patologia, che ben può risultare provato anche in relazione a un evento incerto, la possibilità perduta. E ciò, non solo in modo certo ma anche in base al noto «criterio del più probabile che non». Nella fattispecie, è stato accolto il ricorso dei genitori di un minore affetto da una grave patologia, accertata solo dopo una serie di diagnosi sbagliate e quindi quando aveva riportato postumi invalidanti addirittura del 90%. Dopo una vittoria in primo grado innanzi al Tribunale di Avezzano, la Corte d’appello di L’Aquila aveva ribaltato la decisione escludendo il risarcimento a carico dell’Asl sul rilievo che avrebbe ritenuto non sufficientemente provata l’esistenza del nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e il danno riportato dal giovane paziente, concludendo nel senso che tale incertezza non poteva consentire di pervenire all’affermazione della responsabilità della struttura ospedaliera perché secondo la Ctu quando i sintomi si manifestano in modo da consentire la diagnosi è già in corso la serie causale che conduce al danno. Per gli ermellini, l’errore logico-giuridico del giudice del merito sta nell’escludere il nesso eziologico fra la condotta dei sanitari e l’esito invalidante della patologia sulla base dell’incertezza di quelli che sarebbero potuti essere i risultati di una tempestiva diagnosi. Ma la possibilità di ottenere un risultato migliore, inteso come un minor grado di deficit invalidante, riguarda il piano dell’evento, non del nesso causale. La riconducibilità dell’evento di danno al concetto di chance postula un’incertezza del risultato sperato ed è rispetto all’insorgenza di questa situazione che deve essere accertato il nesso causale, secondo il criterio civilistico del «più probabile che non». I giudici del rinvio dovranno quindi attenersi al seguente principio di diritto: «In caso perdita di chance conseguente la malpractice sanitaria, l’attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento di danno, valutando adeguatamente il grado di incertezza dell’una e dell’altra. La riconducibilità dell’evento di danno al concetto di chance postula un’incertezza del risultato sperato ed è rispetto a l’insorgenza di questa situazione di incertezza – non già al mancato risultato stesso, che darebbe luogo ad una diversa specie di danno – che deve essere accertato il nesso causale, secondo il criterio civilistico del “più probabile che non”».