Compagne di guerra
Chi sono? Sono quelle signore, o signorine, che avendo avuto l’indirizzo di un soldato povero o senza famiglia, gli scrivono spesso, gli mandano di tanto in tanto, a seconda dei loro mezzi finanziari, qualche pacco con ciò che più gli occorre e che più desidera, oggetti di lana, sigarette ed altro. Siamo nella Grande Guerra e la loro missione deve essere, prima di tutto, quella di tenere sereno ed elevato lo spirito del loro “figlioccio”, mostrandogli interessamento ed affetto.
Assistenza morale e patriottica. Era questa il compito. Le prime furono le signorine della buona società che si trovarono a confortare, con lettere, cartoline e pacchi, i soldati e gli ufficiali al fronte. Spesso senza conoscerli, messi in contatto epistolare nei modi più disparati. Al ritorno, alcuni si sposarono, altri restarono amici, altri non si incontrarono mai. Stiamo parlando delle “Madrine di Guerra”, giovani ragazze delle scuole medie e delle superiori, che ebbero il compito di tenere alto il morale delle truppe, per fare sentire meno soli i tanti giovani che si trovarono a combattere una guerra non voluta e non sentita. C’era un altro modo, insomma, per le donne di essere parte di quell’immane catastrofe e fare volontariato.
Al fronte, le Crocerossine, divenute operative nel 1916, durante le battaglie dell’Isonzo e sugli Altopiani del Carso e di Asiago, resistettero fino all’ultimo al fianco dei moribondi e dei feriti, nella ritirata di Caporetto. Per la prima volta, non si limitarono più a essere pacifiste, ma dimostrarono un saldo entusiasmo nei confronti di questa impresa. A casa, madri, mogli e figlie, spesso impiegate nelle fabbriche, fronteggiavano nemici diversi, ma altrettanto subdoli e feroci: la fame, la miseria, lo sfruttamento.
Nel 1918 le donne costituivano il 25 % della manodopera negli stabilimenti ausiliari di Torino, il 31 % in quelli di Milano, l’11 % in quelli di Genova e rispettivamente il 16, il 22 e il 20 % in quelli, non ausiliari, delle stesse città. Nel complesso, in quelle fabbriche, le donne occupate erano circa 80 mila, alla fine del 1916. Salirono a 140 mila nel 1917, per toccare un massimo di quasi 200 mila alla fine del conflitto.
Le madrine di guerra erano, dunque, “infermiere del corpo e dello spirito”. A farsi promotori dell’iniziativa, presso le giovani italiane, anche alcuni giornali dell’epoca, come “La Donna”, che fornivano la lista di quei combattenti che avevano chiesto di ricevere corrispondenza e, talvolta, grandi associazioni femminili emancipazioniste.
Matilde Serao esaltò quest’esercizio di dovere patriottico, che molte volte travalicò il patriottismo per divenire legame serio di amicizia, fino ad approdare al matrimonio.
Bisogna ricordare, in questo periodo, la nascita della Lega delle seminatrici di coraggio, che voleva dare alla realtà femminile, che viveva l’emarginazione sociale e culturale, un coinvolgimento in iniziative di mobilitazione, uno scopo di realizzazione umanitaria. L’attività principale delle “seminatrici” era quella di diffondere cartoline a scopo propagandistico e questo permetteva loro di essere d’aiuto, senza doversi spostare da casa. E, perchè no, quella di insegnare a donne analfabete la scrittura e la lettura o a confezionare indumenti di lana, da mandare al fronte.
Non se ne è mai parlato tanto, ma l’operato, per lo più nascosto, di queste “coraggiose” italiane, è stato di vitale importanza, anche se, come sempre accade da noi, solo coscienze raffinate ed intelligenti ne hanno apprezzato il valore.