Chi era Andrea Campagna, il poliziotto proletario ucciso da Cesare Battisti
Milano – L’agente della Digos milanese Andrea Campagna fu ucciso al termine del suo turno di servizio, intorno alle 14 del 19 aprile 1979, in un agguato in via Modica, alla Barona, di fronte al portone dell’abitazione della sua fidanzata, mentre si accingeva a salire sulla propria autovettura per accompagnare il suo futuro suocero al lavoro. Atteso da un commando dei Proletari armati per il comunismo, fu raggiunto da cinque colpi di rivoltella gli attentatori si allontanarono poi su di una Fiat 127. Nella successiva rivendicazione dei PACsi parlò di Campagna come “torturatore di proletari”, lui, che svolgeva mansioni da autista.
“Mio fratello ucciso da Cesare Battisti nel giorno in cui si era comprato l’Alfasud. I veri proletari eravamo noi” ha detto una volta il fratello Maurizio al Corriere. Figlio di immigrati del Sud, appartenente a quella classe proletaria così rigorosamente raccontata da Pierpaolo Pasolini, ecco chi era il poliziotto Andrea Campagna, l’ultima vittima del “compagno” Battisti. Su Andrea Campagna riportiamo un articolo di Repubblica datato oramai 2010 ma che riporta pienamente la dimensione di quell’atto così infame.
“Figlio di immigrati, proletario, poliziotto Andrea Campagna, l’ultima vittima di Battisti. Andrea Campagna fu l’ultimo che i Pac ammazzarono in un tiepido pomeriggio milanese, il 19 aprile 1979, perché “torturatore di compagni”, ma a Cesare Battisti, che lo attese rannicchiato dietro una Cinquecento – in via Modica, un budello alla Barona – sarebbe bastato vedere la casa dov’era cresciuto (un appartamento di 62 metri quadrati: i genitori in una stanza, i quattro figli nell’altra), per capire che stava uccidendo uno di quei ragazzi cari a Pasolini. Dopo avergli sparato ebbe perfino il dubbio di aver sbagliato persona, e attese trepidante con il suo giubbotto di renna e gli stivaletti appuntiti Camperos la conferma dal telegiornale. Il giorno della retata per l’assassinio del gioielliere Pier Luigi Torregiani, Andrea era apparso brevemente in tv mentre accompagnava in questura alcuni dei sospettati: fu la sua condanna a morte. Il video si trova su YouTube. Molti di quei ragazzi li conosceva personalmente, erano cresciuti tra i palazzoni avvolti nella nebbia e sulla camionetta avevano scherzato: loro rivoluzionari, lui poliziotto. Qualcuno fu poi picchiato in commissariato, e lo denunciò all’uscita. Battisti allora sostenne che l’onta andava lavata con una pistolettata. Campagna non c’entrava nulla (non svolgeva compiti d’indagine), ma scelsero lui; era solo un simbolo, il bersaglio più facile. Suo padre Giuseppe era giunto a Milano da Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, Catanzaro, nel 1954. La città era livida come in Rocco e i suoi fratelli. Trovò un lavoro – come guardia giurata – ma non una casa. Solo nel 1965 poté portare con sé la famiglia, la moglie Antonietta, i tre figli, una quarta – Sabrina – sarebbe nata nel 1968. Sacrifici, ristrettezze, la fatica di ogni giorno che vale un avvenire, mentre fuori il mondo esplode. La Barona pulsava d’immigrati meridionali e d’umori, tra case tirate su troppo in fretta. Andrea entra in polizia dopo la leva, nel 1974: ha 20 anni. Agente semplice, autista di scorta anche a Craxi. Con i primi guadagni compra un’Alfa Sud. Ha una fidanzata, Cecilia, figlia di un calzolaio originario di Gallipoli; ha terminato il linguistico ed è in attesa d’impiego, come si diceva allora. C’è una foto del loro ultimo Natale, quello del 1978: Andrea sorride allegro, una gran zazzera di capelli neri, i baffi operai, intorno alla tavola imbandita, e lui abbraccia lei.
Dice Maurizio: “In tutti questi anni non ho mai detto di essere il fratello di una vittima del terrorismo, ho sempre taciuto, per pudore, e anche perché la nostra voce fino a tempo fa non contava: Battisti è sempre stato più famoso di noi. Quando nel 2004 esplose il caso e io finii a Porta a porta un mucchio di colleghi e amici, con i quali intrattenevo relazioni da una vita, increduli mi chiesero conto del mio silenzio. Mio padre se n’è andato nel 2005 con un gran dolore, mia madre l’ha salvata la fede. Ha 85 anni e quando ha visto Lula in tv ha detto: “Mio figlio però non l’ha protetto nessuno…”.
“Il torturatore di compagni” Campagna va a pranzo dalla fidanzata, dopo aver finito il turno alla Fiera Campionaria: un’abitudine che i sicari conoscono bene. Poi esce con il suocero, Lorenzo Manfredi, per accompagnarlo nel suo negozietto di calzolaio quando si trova di fronte Battisti, uno della sua età che non ha mai visto prima. Un complice, Giuseppe Memeo, fa da palo su una 127 rubata il giorno prima alle undici della sera in via Palladio, minacciando l’automobilista con una pistola. Battisti fa fuoco; poi rivolge la Phyton calibro 375 verso Manfredi, l’arma si inceppa. Campagna morirà lungo il tragitto verso l’ospedale. Maurizio conserva questo ricordo di quel momento: “Sono a casa, sto guardando Jeeg Robot D’Acciaio su Tele Milano quando suona il campanello…”. I funerali si tengono a Sant’Ambrogio, furono replicati a Sant’Andrea, e nella terra aspra di Calabria Andrea riposa. Al suo paese gli hanno dedicato una via, a Vibo Valentia una scuola di polizia.
Quelli del Collettivo della Barona si divisero quando Battisti propose l’uccisione. Lo conoscevano per la sua attività in parrocchia; era un figlio del quartiere, un proletario come loro. Perché eliminarlo? Battisti s’impose e anni dopo, di ritorno da una vacanza alle Eolie, se ne vantò con Pierino Mutti, il primo pentito dei Pac. Memeo confermò la versione ai giudici. Arrigo Cavallina, il padre dei Proletari armati per il comunismo, oggi un uomo tutto speso a espiare la sua pena nel volontariato a Verona, ricorda il suo incontro con Battisti nel carcere speciale di Udine, nel 1977: uno screanzato che veniva dalle file della delinquenza comune, confusamente affascinato dalla rivoluzione. Era di una rabbia sorda Cesare Battisti, il killer che sceglieva le sue vittime leggendo i giornali: il gioielliere e il macellaio che avevano usato le armi a loro difesa, il maresciallo di un carcere un po’ severo, il giovane poliziotto di periferia capitato nel fotogramma sbagliato.”
“Sono contento però la Bolivia credo sia uno di quei paesi che non concede estradizione, quindi adesso vorrei capire se ricomincia la tiritera del 2004 con la Francia, speriamo questa volta venga estradato”. Così Maurizio Campagna, fratello di Andrea Campagna, l’agente di pubblica sicurezza, come spiega lo stesso Campagna a Repubblica.it – ucciso da Cesare Battisti il 19 aprile 1979 a Milano. Sull’effettivo rientro in Italia dell’ex terrorista il fratello della vittima resta dunque “scettico”: “Se è andato in Bolivia qualche motivo ce l’ha”.
https://video.repubblica.it/cronaca/arresto-cesare-battisti-il-fratello-dell-agente-ucciso-campagna-finalmente-in-galera-dopo-40-anni/324409/325027
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