Il gruppo del Laocoonte

Laocoonte, figlio di Antenore di Ilio, secondo la compagine dei miti dell’Ellade, era un ministro del culto con capacità divinatorie. Publio Virgilio Marone, nell’Eneide, ci racconta che i Greci, per conquistare la città dei Teucri, utilizzarono un espediente al fine di introdurre i propri soldati all’interno della cinta urbana: simulando di abbandonare le postazioni di battaglia, lasciarono in dono un’imponente statua lignea raffigurante un superbo destriero nella cui parte interiore si nascondevano i prodi militi ellenici. I troiani portarono il cavallo dentro le mura cittadine, e, alla sua vista, Laocoonte, turbato ed inquieto, propose agli astanti l’abbattimento della statua: i teucri respinsero energicamente il suggerimento del religioso, il quale proiettò con forza una lancia verso di essa facendo risuonare nell’aria le vibrazioni sorde del vano traditore, ma non sortì alcun effetto. La Dea Atena, nume guerriero, per punire l’irriverenza del sacerdote, inviò per castigo due hydrophiinae, Porcete e Caribea, imponenti serpenti di mare le cui spire soffocarono il veggente troiano e i suoi figli, Antifate e Tymbreus. Noto è l’epilogo della caduta della città di Ilio. Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis historia, trattato del 78 d.C., ascrive l’opera Gruppo del Laocoonte agli scultori Agesandro, Atanodoro e Polidoro, valenti artisti della cosiddetta Scuola rodia greca. Poco si sa delle biografie della triade dei raffinati artisti, ma epitaffi, iscrizioni e fonti testuali sono vestigie a testimonianza del loro operato della cultura e dell’espressione artistica degli Elleni. Il “Laocoonte bianco” è conservato nel complesso museale voluto da Giuliano della Rovere, Sua Santità Papa Giulio II: la tradizione storica narra di un fortuito recupero agli inizi del ‘500 tra i pergolati di proprietà di Felice De Fredis, e dell’acquisto successivo da parte della Santa Sede. Goffredo Silvestri, una tra le firme più autorevoli del panorama giornalistico italiano, in un suo articolo del 2006 su Repubblica.it scrive che la notizia del rinvenimento dell’opera scultorea attraversò tutta l’Urbe, e il terreno divenne meta di un folto pellegrinaggio, tale da essere paragonato dagli autori di cronaca storica dell’epoca a quello di un Anno Santo giubilare. L’accadimento fu così importante che persino il capresano Michelangelo Buonarroti e il fiorentino Giuliano Giamberti da Sangallo furono testimoni del rinvenimento dell’opera. Da tutti i particolari del gruppo scultoreo si evince uno studio morfologico attento e preciso: dalle posture provvisorie e malferme si arguiscono vigore nerveo e tensioni plastiche miste a spasmi, dolori corporei e tormenti dell’anima. Sicuramente gli autori subirono influenze dei canoni del gusto barocco della Scuola di Pergamo: il nudo eroico, l’enfasi icastica, il pathos tragico generano profonde sensazioni di inquietudine e forte partecipazione emotiva ed empatica.

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