L’Italia è finita. E forse è meglio così
Forse il titolo sembra suggerirlo ma l’ultimo lavoro di Pino Aprile, L’Italia è finita. E forse è meglio così (ed. Piemme), non è affatto una visione distopica, piuttosto fendinebbia che rivelano un destino tutt’altro che remoto e improbabile.
Le nebbie sono uno studio dell’autorevole London School of Economics (LSE) The quiet collapse of the Italian Economy “il tranquillo collasso dell’economia italiana”, o le analisi della MacroGeo presieduta da Carlo De Benedetti, che espongono le modalità secondo le quali l’Italia e l’Europa dovrebbero frammentarsi permettendo la nascita di una forte macroregione, con la Germania al centro, e aree impoverite a contorno. Nebbia sono anche le relazioni che Steve Bannon, ex consulente alla Casa Bianca di Trump, sta tessendo tra i gruppi di destra anche estrema d’Europa (Lega compresa), per attivare un “supergruppo” all’interno del Parlamento europeo, “Roma è al centro della politica mondiale. Ci sarà un vero terremoto, lo vedrete: l’Italia fa paura” dice.
Insomma, L’Italia torna oggi, dopo esserlo stato in passato, ad essere laboratorio per le necessità economiche di un nuovo tipo di civiltà, quella globalizzata, che ha bisogno della fine degli stati nazionali. Una globalizzazione che costringe a riscoprire e valorizzare le identità locali, rafforzando i Paesi in cui lo stato coincide con la nazione, e indebolendo quelli in cui lo Stato è somma (peggio ancora se imposto con le armi) di nazioni più antiche.
Che l’Italia sia somma di nazionalità dalla radice profondissima è indiscutibile, che siano state messe assieme per l’interesse di pochi, trasformando il Regno delle Due Sicilie in un bancomat per pagare i debiti del Piemonte fallito e soffocando millenarie identità locali …anche! La disunità è nel fonte battesimale dell’Italia. Sconsolato, anche il grande Montanelli lo sostenne “Nessun futuro per l’Italia, perché un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere domani”.
Oggi il processo di disgregazione presenta un’accelerazione: le regioni nelle quali lo Stato italiano, dalla sua fondazione, ha concentrato la gran parte delle attenzioni in termini di risorse ed investimenti si mostrano paradossalmente insofferenti e reclamano forme spinte di autonomia, pretendendo di autogestire risorse economiche statali in proporzione alla loro capacità contributiva: diritti proporzionali alla ricchezza. Un’indecenza troppo assecondata di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, che tentano di fare piazza pulita scappando con la cassa che è stata ribattezzata a furore di popolo e a ragione “la secessione dei ricchi”.
Pino Aprile racconta da esperto divulgatore, immaginando di parlarcene parando i fogli sotto la bocca perché le parole non cadessero a terra, le stesse parole e sentimenti che ha potuto raccogliere in questi nove anni da Terroni (la cui uscita è uno storico spartiacque per il popolo dei meridionali) percorrendo incessantemente, come nessuno, il Sud in tutte le sue direzioni da New York a Stoccolma, potendo così godere e disporre di un osservatorio sociale, antropologico e politico singolare di straordinario valore.
Ne è uscito un libro sorprendente e raro che proietta esperienze e attualità in un futuro piuttosto prossimo, quello dei nostri figli, per comprenderlo ed orientarsi …nella nebbia.