L’Anfiteatro Flavio
In epoca classica le attività mondane di svago erano rappresentate dai ludi, competizioni sportive che si svolgevano durante le solennità: in età imperiale vennero persino inseriti nel cerimoniale del culto della dignità dell’Imperatore quale divinità protettiva. Esempi di ludi furono le venationes, lotte spietate con fiere e belve feroci, e i munera gladiatoria, scontri letali tra reziari e secutores, mirmilloni, traci e altre categorie di combattenti. Il contesto degli scontri avveniva in enormi costruzioni denominate anfiteatri, a planimetria circolare o a pianta ovoidale, e con un’ampia cavea declive verso la parte centrale in direzione dell’arena. L’Anfiteatro Flavio è più noto con il nome di “Colosseo”, appellativo dovuto verosimilmente alla presenza del Colossus Neronis, un enorme bronzo dell’ultimo Imperatore della stirpe giulio-claudia, Nerone, realizzato dal greco Zenodoro e andato distrutto probabilmente nel 410 d.C. durante il famigerato Sacco di Roma. Il toreuta ellenico si ispirò alla statua realizzata da Carete di Lindo raffigurante il Dio Helios nel III secolo a.C., rappresentato come Deus Sol Invictus (“Dio Sole Invitto”) e noto come “Colosso di Rodi”. L’Amphitheatrum Flavium fu eretto per volontà di Cesare Vespasiano Augusto e sorge sulla vecchia zona lacustre della Domus aurea neroniana. Il poeta Marco Valerio Marziale, nel suo Liber de spectaculis pubblicato nell’80 d.C., scrive: “Omnis Caesareo cedit labor Amphitheatro, unum pro cunctis fama loquetur opus” (“Tutti i monumenti restano inferiori all’anfiteatro di Cesare: la gloria parlerà di un solo capolavoro in cambio di tutti”). Per la sua realizzazione furono usati laterizi e due tipi di roccia sedimentaria, il travertino calcareo e il tufo piroclastico. Bellissima la fusione armonica degli ordini architettonici: l’euritmica degli stili si sviluppa nell’ordinata disposizione in altezza dei colonnati formando solidi pattern trilitici, e la presenza delle eleganti lesene rende maggiormente gradevole la visione delle linee architettoniche. Il sottosuolo nascondeva argani ed impianti di sollevamento per le fiere e gli artifici scenografici dell’agone. La platea prendeva posto nelle cinque sezioni della gradinata a seconda dello status e del rango sociale, e l’ingresso degli spettatori era consentito da ottanta varchi: la presenza di un ingresso riservato all’Imperatore permetteva a questi di accedere nell’anfiteatro e al palco imperiale, il pulvinar, in maniera discreta. Il benedettino Barnaba Chiaramonti, Sua Santità Papa Pio VII, eletto Pontefice il 14 marzo 1800, viste le condizioni di usura dell’anfiteatro e il deterioramento subito a causa di diversi movimenti tellurici, incaricò gli Architetti romani Raffaele Stern e Giuseppe Valadier di agire con lavori di consolidamento e restauro. Gli interventi di Stern furono per lo più conservativi: pensò ad un presidio passivo e costruì un contrafforte al fine di consolidare quelle strutture che, a causa di energiche forze spingenti, erano predisposte a sfaldarsi. Anche Valadier fece realizzare uno sperone per rinsaldare la compagine architettonica, ma riedificò pure alcune aperture ad arco e fece costruire inferriate per inibire l’ingresso nell’edificio. Nel 1980 l’UNESCO ha dichiarato l’Anfiteatro Flavio patrimonio dell’umanità.