Il Pallagrello, un vino antico, un vino vero!
L’interruzione traumatica della storia del Regno delle Due Sicilie, unito con la forza al Piemonte, implicò un primo decennio caratterizzato dalla repressione di briganti, patrioti, contadini, ex soldati dell’esercito borbonico e tanta gente comune che si oppose in massa ai nuovi arrivati, avvertiti più stranieri di tutti gli stranieri che nei secoli pure erano venuti.
Successivamente i meridionali cominciarono ad emigrare come mai avevano fatto prima, e come purtroppo fanno ancora adesso, in cerca di miglior vita. Si spopolarono i paesi, si abbandonarono pascoli e campagne e siccome a partire furono prima, e soprattutto, gli uomini, la società evolvette in difetto di Padri e di memoria.
Altro che infestazione di fillossera! L’antico vino Pallagrello che aveva il suo posto nel quarto e nel quinto raggio della prestigiosa “Vigna del Ventaglio” voluta da Ferdinando IV di Borbone tra Caserta e San Leucio, scomparve poco alla volta, sparì per mancanza di cura, come si dissolsero tante memorie e tanti saperi sostituiti da imposture alloctone. …ma non definitivamente, ché troppo fiere le genti e troppo profonde le radici del Sud.
Lo sviluppo industriale dell’enologia toscana, piemontese e poi veneta ha, anche nel casertano, appiattito e omologato il gusto, tanto che sangiovese, trebbiano e cabernet sono stati impiantati ovunque a discapito dei vitigni autoctoni come il Pallagrello, vino residente, e resistente come brigante, nel terreno argilloso di antichissima vocazione vitivinicola delle colline Caiatine tra il Taburno e il Matese, che lo fanno esprimere al meglio, nel suo carattere e nella sua peculiarità.
Come raramente accade, Pallagrello, è un nome per due vitigni organoletticamente differenti: quello bianco, finalmente non più confuso con il Coda di Volpe; e quello nero (l’acino è molto scuro) oggi ben distinto dall’Aglianico. Entrambi devono molto all’intuito e alla tenacia dell’avvocato, oramai vignaiolo, Peppe Mancini e ad Alberto Barletta (avvocato pure lui), fondatori rispettivamente della “Terre del Principe” di Castel Campagnano, e della “Vestini Campagnano” di Caiazzo che hanno puntato coraggiosamente, per primi, tutte le loro fiches su progetti incardinati al recupero della memoria smarrita.
Oggi da Caiazzo a Raviscanina, da Frignano al Monticello di Piedimonte Matese (dove Re Ferdinando, con riguardo, tutelava dall’attraversamento i 27 moggi di vigna a Pallagrello), esistono percorsi enoturistici di grande qualità che fino a pochi anni fa non c’erano; esiste, nei fatti, la strada del Pallagrello fatta di cantine pregevoli; r-esiste la voglia di riannodare i fili della memoria. Splende il bianco, che si abbina a tutta la cucina contadina tipica dell’Appennino meridionale; e splende il nero, strutturato, elegante e capace di sostenere i pasti più complessi. Condividendo un territorio al quale sono intimamente intrecciati, i due vini si godono una notorietà di nicchia che li rende ancor più singolari, moderni, straordinari e meravigliosamente trendy.