Il vino di Cales decantato da Orazio, Strabone, Plinio il Giovane, Giovenale e Ateneo

Le origini della città di Cales preromana si perdono nella notte dei tempi. La Cales di epoca “romana” era attraversata trasversalmente, dalla via Latina (oggi S.S. Casilina, n. 6) che al chilometro 187 la divideva in due parti. A nord, sopra una piccola altura, dove attualmente si ammirano un Castello Aragonese, un vecchio Seminario e la Cattedrale romanica, si ergeva l’<Arx> – la rocca o fortezza – e a sud, nella parte bassa, si estendeva l’<Urbs> – la città -, con l’agglomerato urbano, il Foro, il Teatro, le Terme, l’Anfiteatro, i Templi. Cales, cerniera tra il Lazio e il Sannio, era molto contesa e nel 420 a. C. i Romani, sconfitti i Sanniti che l’occupavano, la ridussero a colonia romana con diritto di conservare cittadinanza ed amministrazione propria e facoltà di battere moneta. Stranamente fu propria da colonia romana che Cales visse un periodo di prosperità. Già famosa per la confezione dei vasi di argilla, degli arnesi agricoli, per le sue acque termali e per il suo vino (che trova apprezzamenti ed elogi in Virgilio, Catone, Vitruvio, Orazio, Strabone, Plinio il Giovane, Giovenale e Ateneo), vide, nel predetto periodo, esaltare tali sue possibilità agricole e artigianali diventando da semplice centro di consumo a centro d’industria. Purtroppo tale prosperità non durò molto in quanto Cales cadde sotto il dominio dei Sanniti (218 a.C.) e di Annibale (211 a.C.) e inizia il periodo della sua decadenza. I suoi abitanti (i superstiti), oggetti di continui saccheggi e incursioni, per lo più decimati da disastrose calamità naturali (alluvioni e terremoti) ed oppressi prima dai barbari e poi dai Saraceni, alla fine dell’ottavo secolo d.C., abbandonarono la loro città, ormai ridotta in rovina. Sorsero, in tal modo, i primi nuclei che poi sarebbero stati i centri abitati di Calvi Risorta, Rocchetta e Croce, Giano Vetusto, Pignataro, Pastorano, Camigliano, Sparanise e Francolise (Comuni che attualmente formano l’Agro Caleno). Dell’antica Cales, purtroppo, non restano che alcuni ruderi esposti all’inclemenza del tempo e all’incuria dell’uomo. Le numerose testimonianze pervenuteci da parte di illustri personaggi storici confermano anche l’ottima e pregevole qualità dei vini che si producevano a Cales in epoca romana. Il poeta Orazio nel libro 1°, Ode 20, “Mecenate a cena da Orazio”, assicura l’ospite che berrà “uva spremuta con torchio caleno” e nell’Ode 31, sempre del 1° libro, scrive “Lascia che con la falce poti le viti di Cales chi le ebbe dalla fortuna…” e , ancora, nell’Ode 12 del libro IV, dedicata a Virgilio, scrive “La stagione, Virgilio, accende la sete; ma se vuoi vino dei torchi di Cales, tu, amico di giovani famosi, dovrai guadagnartelo col tuo nardo: basta un suo vasetto per attirare l’anfora, che ora giace nei magazzini di Sulpicio e che donerà nuove speranze, dissipando l’amarezza dei nostri affanni; Strabone, storico e geografo greco, magnificando i prodotti della Campania Felix, nel “De situ orbis” scrive “I Romani hanno ottimo vino: Falerno, Statano e Caleno”; Plinio il Giovane esalta i vini di Cales nel Libro XIV, capitolo VI di Historia Naturalis e li pone al terzo posto; Giovenale, in piena epoca imperiale, dichiara che è stato indotto a scrivere tale opera per sdegno contro il malcostume e la corruzione dilaganti a Roma, fa riferimento al vino caleno al verso 55 con le seguenti parole “Corre incontro una dama impettita che al marito assetato propina nettare di Cales mescolato con veleno di ranocchio…” e Anteo, nel testo “I sapienti a banchetto” scrive “Il Caleno è più gradevole del Falerno e piace allo stomaco”.

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