Il Mediterraneo malato “di plastica” ed il vero epilogo di Moby-Dick

Non molti giorni addietro, il 22 marzo scorso, nel mio articolo «La battaglia contro la plastica passa dalla Puglia», decantavo il grande coraggio del Governatore Emiliano per la messa al bando dei monouso sulle belle spiagge pugliesi (link: https://bit.ly/2KcVoXK). Uno stupendo esempio per il resto d’Italia, per tutte quelle città che vivono di turismo, pesca o anche solo dell’odore del mare. Ma, si sa, il fato è sempre pronto a ricordarci le nefandezze già compiute, così, con tempismo perfetto, proprio il mare ci ha schiaffeggiato moralmente con una triste notizia che dovrebbe farci vergognare profondamente. A Porto Cervo, splendida località turistica e naturalistica sarda, pochi giorni fa si è arenata la carcassa senza vita di un capodoglio, il gigante del mare famoso per esser diventato Moby-Dick nel best seller letterario di Herman Melville, simbolo indiscusso della ricchezza dei nostri mari e della vita che racchiudono. Una vita, però, che l’uomo sta decimando grazie a quel derivato del petrolio, la plastica appunto, che abbiamo inventato, sprecato e diffuso senza sosta fino a ritrovarcela stabilmente, come potrete leggere in un precedente articolo (link: https://bit.ly/2R7ige8), perfino nel nostro ciclo alimentare attraverso i pesci che peschiamo per nutrirci. Tra l’altro, il capodoglio spiaggiato aveva in sé un altro seme di vita, un feto, morto con questa madre nel cui stomaco sono stati ritrovati oltre venti (20!) kg di plastica di ogni genere. All’esame degli esperti, accorsi immediatamente sul posto, anche per scongiurare problemi sanitari a causa della decomposizione della carcassa, lo stomaco dell’animale è apparso quasi totalmente pieno dello “scarto degli umani” e la sua fine, quindi, è colpa diretta del nostro operato e di quell’inquinamento che, invece, dovrebbe essere assolutamente evitato. Da decenni la vita nei mari è messa a dura prova dall’uomo, dalle attività di pesca, da quelle turistiche, dal trasporto di merci e petrolio, dalla stessa ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare aperto, nonché da quel vero e proprio “vomito” industriale che gettiamo giorno dopo giorno nell’immensa distesa blu. Una distesa che illustri medici, senza ombra di dubbio, indicano come la miglior medicina per l’uomo e per le sue fatiche. Il mare, da sempre, dona ma restituisce con fermezza, calma ma può schiaffeggiare, come pure sopporta tanto ma, giustamente, tollera fino ad un certo punto. Forse questo punto di non ritorno è davvero arrivato se, tremendamente, ci restituisce morte, inquinamento e carenza di quel nutrimento, i pesci, che ha sostentato la vita umana per millenni. Il capodoglio spiaggiato, oggi, non è più un romanzato simbolo della vittoria della natura nei confronti dell’uomo, tanto invasore dei mari quanto invaso da continuativo rancore e odio. Oggi il capodoglio spiaggiato è l’ennesimo simbolo dell’effimera vittoria dell’essere che governa il mondo, o meglio crede di farlo, ma che inizia a pagare a caro prezzo l’incapacità di rispettare l’unico pianeta nel quale può prosperare. Anche la leggendaria Moby-Dick è caduta. E domani?

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