Per un nuovo 25 aprile della cultura e della moralità
Le polemiche, in queste ore, su ciò che fu per l’Italia e gli italiani (eh si! vecchia questione questa) il famoso 25 aprile 1945, ciò che tutti conoscono, o almeno si spera, come Festa della Liberazione, si sprecano a iosa. Con i cambiamenti politici che negli ultimi anni hanno coinvolto il delusissimo popolo italiano non potrebbe essere altrimenti. Si è passati, infatti, dalla questione meridionale (lo scrivo minuscolo volutamente) ai leghisti votati al sud o, per dirne una più recente, dall’antifascismo quale valore fondante della democrazia allo striscione fascista di ieri a Piazzale Loreto come post scampagnata di Pasquetta (questa si con la lettera maiuscola. Perché? Chiedetelo ai teorici del consumismo). Come dire, italiani di tante virtù ma costantemente di poca memoria se, oltre alle questioni ideologiche e politiche, si assiste alla continua erosione del viver civile, delle istituzioni quale punto di riferimento per le nuove generazioni, nonché della nostra vera identità, quella conquistata sul sangue di tante nostre nonne e nonni durante la Seconda guerra mondiale. Un’identità che, oggi, può ragionevolmente uscire dal binomio antifascismo-fascismo ma, credo, dovrebbe modernizzarsi mutando il suo significato verso la celebrazione di una nuova resistenza, di una nuova necessaria liberazione, di un terzo rinascimento, ovvero la “ri-moralizzazione” degli italiani. Se, di comune accordo, volessimo infatti considerare finita la contrapposizione delle ideologie del ‘900, come dovremmo considerare la battaglia continua e mai sopita tra inciviltà e cultura? Come giustificare italiani che tanto si dimenano per non sentir più parlare di feste nazionali, magari perché delusi da un Paese che, a loro dire, non fa nulla per essere migliore se, e non è poi tanto un se, sono queste stesse persone a gettare sacchetti della spazzatura lungo superstrade, autostrade e strade comunali più periferiche? Come considerare quei grandi pensatori del nuovo millennio, quelli che si prodigano nel criticare gli atavici vizi peninsulari se, e ancora una volta non è poi tanto un se, sono i primi a scorrazzare davanti le scuole degli innocenti pargoli, istruiti per essere “più migliori dei compagni a colpi di vestiti e consolle giochi” (l’errore è voluto, sappiatelo!), con Suv comprati solo per dimostrare il cielodurismo consumistico americano trapiantato in Italia il 1° ottobre del ’43 con l’occupazione di Napoli? E come considerare i perbenisti del 2000, gli stessi sponsorizzatori de “italiani brava gente” che, sotto sotto, hanno usato gli ideali di giustizia sociale e solidarietà umana per arricchirsi fino a scoppiare di cotanta salute, avvallata dalle sciarpette di cachemere (ovviamente fatte da bambini sfruttati lontano dal nostro “mondo”) mostrate in tv o nei consigli comunali, convertendo il sangue del sacrificio in acqua colorata?
Forse siamo davvero arrivati ad una nuova resa dei conti, ad una nuova necessaria battaglia per la Liberazione. Che sia il caso di doverla convertire in Festa dei Valori? In simbolo per la ricerca di quel senso di moralità, di coesione, di cura del territorio, di inclusione, di voglia di comunità e di cultura unitaria che, ad oggi, appare lontano e terroristicamente attaccato di continuo dalla volgarità del consumismo spinto?
Allora mi vien da augurare a tutti i Veri Italiani (ora si con la maiuscola) una buona Festa della Liberazione dall’ignoranza, dalla strafottenza, dall’arrivismo, dall’oblio dei nostri Beni Culturali che continuano a crollare nell’indifferenza generale, dalla volgarità di certi genitori, dall’inutilità cui releghiamo i nostri giovani spingendoli a bere, drogarsi e sfrecciare su auto di lusso a 18 anni, dalla sportività ridotta ai soli cori razzisti negli stadi e al Giro d’Italia che salta mezza penisola, dalla superstizione religiosa che accoglie tradimenti e botte domestiche e condanna il divorzio o l’emancipazione femminile, dall’Università che ripudia i suoi figli per mantenere poltrone già di per sé inamovibili, dagli asili nido dove si insegna ai nostri bambini la violenza folle di donne che emulano il peggio degli uomini sfogandosi su creature indifese, dall’immoralità di pochi squallidi personaggi che dei soldi non sanno cosa farsene ma, pur di continuare a farne, preferiscono vedere nonni che rubano nei supermercati un pezzo di pane o bambini cresciuti nel degrado, da professionisti senza scrupoli che rompono le ossa per farsi rimborsare più soldi dallo Stato sulla pelle di pazienti già sofferenti e poi, solo alla fine, dall’ideologia che dimostra, con il suo revival, quanto la nostra mancanza di cultura possa solo riportarci indietro nel tempo. Per capire cosa significa 25 aprile, cari amici, oltre a guardare la foto di questo articolo, chiaro simbolo della follia bellica del ‘900, basta girarsi intorno. Buona Liberazione a tutti…