La coperta abruzzese
Uno degli indicatori più affidabili per guardare all’evoluzione delle società è il riguardo che viene prestato al corredo nunziale e alla sua composizione. Un tempo (ma lo saprete già) si cominciava a preparare il corredo fin da piccole (in molte, con l’occasione, imparavano a ricamare) e con pazienza, anno dopo anno, anche indebitandosi, veniva aggiunto qualche pezzo commissionato alle migliori ricamatrici della zona. Per la maggior parte dei casi era la parte più importante di quello che ogni sposa portava in dote alla famiglia che andava a formarsi, ed era indice privilegiato dello status sociale della famiglia.
Le ragioni che una volta incoraggiavano a tanta cura oggi non ci sono più, e forse per molti aspetti è anche un bene, ma sarebbe un peccato consegnarsi anima e corpo alla nuova società globalizzata e ai suoi prodotti progettati per consumatori entusiasti e conformi alla società senza radice. Perché la nostalgia non serve ma la memoria quella sì!
Memoria, molte volte, non è solo un’astrazione, per il Sud a volte è addirittura qualcosa di molto concreto, un “saper fare” con una forte potenzialità di farsi apprezzare oltre i confini locali, capace di occupare un numero non irrilevante di persone e generare un importante giro d’affari. Proprio come accade per i merletti di Bruges in Belgio, per il pizzo a Plouen in Germania e per il ricamo qua e là per l’Europa.
Senza contare poi che un corredo composto con elementi di fabbricazione locale, eviterebbe di trasferire risorse nelle tasche dei distretti industriali che in larga parte risiedono lontano da noi, e le tratterrebbe sul territorio.
Uno dei pezzi che non poteva assolutamente mancare, anche in un modesto corredo nuziale delle ragazze del Sud, era la coperta abruzzese che oggi rischia di sparire del tutto. È una coperta concepita nell’800 senza dritto né rovescio, la famosa “taranta” damascata a due colori, bella, pesante, con i caratteristici angioletti e le bellissime frange. La tessitura si sviluppò soprattutto a Taranta Peligna, nel parco della Maiella, che era già nota in tutta Europa per via dell’indistruttibile panno di lana nera infeltrita utilizzato per le mantelline del Real Esercito Borbonico.
Non è ancora troppo difficile procurarsi una taranta artigianale, ma il suo destino passa per l’esercizio della nostra sensibilità, per la nostra inclinazione al bello e per la consapevolezza che il recupero del patrimonio tradizionale può rappresentare uno dei volani di una ripartenza economica.