Il San Giorgio di Donatello
Artista versatile e poliedrico, il fiorentino Donato di Niccolò di Betto Bardi, universalmente conosciuto con il nome di Donatello, è considerato uno dei tre capiscuola del movimento storico-culturale del Rinascimento. Il suo curricolo artistico tocca tutti i campi delle principali espressioni estetiche dell’uomo: i modelli culturali del XV secolo furono influenzati dai suoi afflati creativi e l’arte scultoria del rilievo fu arricchita dalla tecnica dello stiacciato, metodo di sua invenzione. La Corporazione fiorentina dei Linaioli e Rigattieri gli commissionò la realizzazione della statua di San Marco Evangelista per la Chiesa gotica di San Michele Arcangelo a Firenze, mentre l’Arte dei Corazzai e Spadai scelse come proprio Santo protettore il tropeoforo Giorgio, Santo guerriero nativo della Cappadocia, e gli affidò il medesimo incarico per la stessa Chiesa di “Orsanmichele”. Il progetto prevedeva la realizzazione di 14 opere statuarie per le gilde fiorentine, le corporazioni delle Arti maggiori e minori, che incaricarono le firme più autorevoli del panorama artistico rinascimentale, come lo scultore fiammingo Jean de Boulogne, il fiorentino Andrea del Verrocchio, il pelaghese Lorenzo Ghiberti. Il San Giorgio donatelliano, realizzato nel 1416 in marmo di Carrara, l’antico marmor lunensis romano, è attualmente custodito nel Museo fiorentino del Bargello, e un’imitazione è stata collocata al suo posto nell’edicola che ospitava l’originale. Il martire è ritratto in atteggiamento marziale, con indosso la corazza tipica dei fanti della legione romana, una cappa allacciata e uno scudo imponente con l’effige della Croce come dotazione d’arma bianca. Il suo piglio è austero, l’atteggiamento è ardito, la postura è nobile e cavalleresca: l’autore desiderava evocare l’icona del paladino cristiano, la personificazione dell’etica e della morale consone alla catechesi di Cristo, e lo sguardo attento è volto in direzione di città ostili all’abitato d’Oltrarno. Il genio rinascimentale creò nell’opera virtuosismi e maestrie geometriche di proiezioni trigone e oviformi, unendo in uno stretto connubio le morfologie del corpo e quelle dell’arma da difesa in dotazione. Nel trattato cinquecentesco “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori” dello storico toscano Giorgio Vasari, si legge che il Nostro “fece una figura di S. Giorgio armato vivissima, nella testa della quale si conosce la bellezza nella gioventù, l’animo et il valore nelle armi, una vivacità fieramente terribile”. L’anno successivo l’elemento d’appoggio dell’opera ospitò una formella a mezzo rilievo, “San Giorgio libera la Principessa”, stiacciato in prospettiva lineare ante litteram, oggi conservata anch’essa nel Museo della torre Volognana e sostituita in loco da una fedele riproduzione. Il bassorilievo fu ispirato dalla Legenda Aurea del Beato ligure Jacopo da Varazze: l’Arcivescovo domenicano narra di un drago crudele a cui venivano offerte ogni giorno vittime sacrificali; quando fu sorteggiato il nome della Principessa Silene, San Giorgio le promise che avrebbe combattuto il mostro se, con uno stratagemma, lo avesse condotto nei pressi della città di Selem: la nobildonna riuscì nell’intento e San Giorgio uccise il drago dopo aver dichiarato a tutti di essere stato inviato dall’Altissimo e che sarebbe riuscito nell’intento solo dopo la conversione della città. La statua donatelliana ha subito nel tempo varie vicissitudini: nel XIX secolo fu oggetto di comportamenti incivili che le procurarono una menomazione al volto, e il secolo successivo fu sottratta dal Museo del Bargello, in tracotante violazione alle norme sui conflitti internazionali. Gli statunitensi Frederick Hartt e Deane Keller, in forza all’United States Army North alleato, ritrovarono nel ’45 la statua del Santo in Trentino-Alto Adige, presso il Castello cinquecentesco di Neumelans a Campo Tures: l’opera fu restituita alla città del giglio tra l’esultanza e il fragore degli applausi dei cittadini.