Il Pelatiello e il Prosciutto di Rocchetta
A volte il mondo del meridionalismo è scompigliato da un venticello che, in nome di un supposto pragmatismo, reclama di porre la più parte dell’attenzione sui temi relativi all’attualità invitando a mettere in disparte storia e passato, quasi che il presente non fosse frutto del precedente, e che la memoria, i pezzetti di memoria, non giocassero un ruolo determinante per il cammino prossimo. Frammenti a volte del tutto perduti, più spesso sbiaditi un po’ alla volta in immagini allogene.
Un frammento importante, più volte indicato sulla via dell’estinzione, è l’allevamento di una razza di maiale un tempo considerata la migliore in Italia, il Suino Nero Casertano chiamato localmente anche Pelatiello (per via delle poche setole) o di Teano. Una razza dalle origini antichissime rappresentata in molti affreschi di epoca romana, spesso impiegata dagli allevatori inglesi per incroci con le razze britanniche per migliorarne la qualità delle carni, e che secondo un censimento del 1942 era molto diffusa tanto da superare nella sola provincia di Caserta i 50.000 capi. Poi la riforma agraria degli anni ’50 e discutibili scelte politiche, danneggiarono l’economia agricola meridionale e determinarono il declino di molti sapori e saperi antichi, tanto che del nostro Pelatiello nel 1995 ne erano rimasti solo 25.
Per fortuna grazie alla passione, la perizia e la consapevolezza di allevatori attenti e dalle tutele messe in campo dal Ministero delle Politiche Agricole, si può contare oggi su una popolazione di circa 2.000 capi sparpagliati in piccoli aziende che lo allevano allo stato brado o semibrado. Una circostanza, quest’ultima, che conferisce grande pregevolezza alle sue carni e maggiore potere antiossidante così da consentire l’esclusione totale di conservanti. In quanto ai grassi del nostro maialino, sono simili ai grassi dell’olio extravergine di oliva, come certificato dal Consorzio per la Sperimentazione Divulgazione Applicazione di Biotecniche Innovative (ConSDABI) che ha la sua sede a Benevento. Gli Omega-3, che riducono il colesterolo cattivo e aumentano quello buono, infatti non si trovano soltanto nel pesce o nei frutti di mare ma anche nella carne, però solo quella di selvaggina o di animali che vivono nell’ambiente naturale.
Questo Tipo Autoctono Antico (non è proprio una razza) era utilizzato per la preparazione di un prodotto che a me sta particolarmente a cuore: il prosciutto di Rocchetta, una prelibatezza, patrimonio della cultura gastronomica di tutto il Medio Volturno, con la quale ho avuto consuetudine molti anni fa, e che oggi sembra quasi del tutto scomparsa nonostante il riconoscimento della Regione Campania quale prodotto tradizionale. Una eccellenza frutto di una sapiente arte dai rigidi rituali ed un procedimento che richiedeva cura, tempi lenti e il venticello di Rocchetta.
Dispiace non trovare nelle salumerie dei nostri paesi una alternativa autoctona, di questa levatura, agli onnipresenti prosciutti di Parma e San Daniele al centro di scandalose frodi, e vomitevoli pratiche, denunciate da inchieste come quella mandata in onda da Report il 20 maggio scorso. Dispiace che non venga (ancora) colta l’opportunità di ciò che la memoria affida.