Processi per omicidio stradale, Marina Fontana: “Attenzione a richieste di patteggiamento degli imputati”
“Attenzione alle richieste di patteggiamento da parte degli imputati”. A parlar è Marina Fontana, donna simbolo nella lotta per la sicurezza stradale, che ha sottolineato, in un post pubblicato direttamente sul suo profilo ufficiale come si rischi “di continuare ad avere colpevoli di fatti gravi, come gli omicidi stradali, e relative pene sottostimate”.
“Ci sono imputati che sono colpevoli di aver ucciso delle persone innocenti con una guida consapevolmente contraria alle regole del codice della strada e che non sconteranno alcuna pena detentiva – spiega -. Non ho mai voluto alcuna vendetta, ma ho sempre lottato per la vera giustizia”. Riflessioni, quelle della palermitana, meditate ed accorate: “Sono considerazioni di chi ha vissuto un dolore grande e non ha conosciuto giustizia, di chi non ha mai odiato l’autista che ha distrutto la sua vita ed ucciso il suo grande amore. Sono parole di chi ha fatto del suo dolore una battaglia sociale, con lucidità ed obiettività, insieme a tantissimi familiari di vittime della strada o vittime sopravvissute alla strada come me”.
Un’attività in piena linea con l’operato dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada Onlus (A.I.F.V.S.), presieduta da Alberto Pallotti e attiva su piano nazionale con le sue oltre 120 sedi: “Il patteggiamento, quando viene ammesso, prevedendo un concorso di colpa della vittima, è incostituzionale”. Il veronese fa un esempio pratico: “Mimmo Crisafulli fu ucciso a Catania da una macchina che non aveva rispettato lo stop. Il Pm diede parere favorevole alla richiesta di patteggiamento proposta dalla colpevole a 5 mesi e 10 giorni di reclusione, ritenendo che Mimmo Crisafulli andasse troppo veloce e che, quindi, avesse delle colpe importanti nell’incidente dove ha perso la vita. Il problema sussiste proprio nell’individuazione di quelle colpe. Nel caso di Mimmo, fu solo la procura a convincersi di questa tesi, senza alcun contraddittorio. Ne consegue che Mimmo fu ritenuto colpevole della sua morte senza potersi difendere in quanto deceduto. Ciò viola il principio di giusto processo e di difesa sancito dalla nostra costituzione. Il patteggiamento con il concorso di colpa di chi non può difendersi è profondamente incostituzionale, ne sono convinto. La nostra associazione ha presentato un ricorso alla suprema corte proprio nel caso di Crisafulli, cercando di evidenziare questo aspetto molto importante. Il ricorso al patteggiamento svilisce, di fatto, il processo penale. In passato questo istituto giuridico è stato abusato al punto tale che è nata la necessità della legge sull’omicidio stradale. Io posso capire che la giustizia sia ingolfata da una montagna di procedimenti e che sia di interesse comune smaltirne una parte velocemente, tuttavia, quando si tratta di dare colpe a chi non può difendersi senza un regolare processo, varchiamo la soglia dell’inaccettabilità”. Nei prossimi mesi, la Corte Suprema di Cassazione è chiamata a pronunciarsi proprio sul caso Crisafulli.
“Da parte mia non c’è nessuna voglia di accendere una polemica con la magistratura – afferma la Fontana -. So che nell’applicazione della pena, su richiesta delle parti, esiste il cosiddetto patteggiamento, che è un procedimento penale speciale disciplinato dal punto 45 dell’art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 (“Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale”) e dall’art. 444 c.p.p. come modificato dalla legge 12 giugno 2003, n. 134. Un inter giuridico speciale che necessita dell’accordo tra le parti. Gli organi competenti sono il GIP, il GUP e il giudice del dibattimento”. La richiesta di Marina è chiara: “Chiedo solo maggiore attenzione ai controlli da porre in atto punto ai fini dell’accoglimento dell’istanza, perché si rischia di lasciare impuniti dei colpevoli di omicidio, che hanno consapevolmente ucciso e rubato la vita a poveri innocenti. Questi ultimi non avevano e non hanno nessuna colpa, se non quella di trovarsi sulla strada dove uno stolto guidatore irresponsabile non ha volutamente seguito le norme del codice della strada. Non si deve provare un dolore così grande per capire il senso delle mie parole. Ogni volta, ad ogni nuovo incidente, il mio cuore viene trafitto di nuovo. Ci vuole responsabilità, prevenzione e punizione reale. Non si può uccidere così, conclude, basta”.
La storia di Marina Fontana è ricca di dolore. Erano le 23:50 del 26 luglio del 2013 quando la donna ed il marito, Roberto Cona, convolati a nozze un anno e tre mesi prima, viaggiavano da Milano, dove vivevano, in direzione Sicilia, per trascorrere le vacanze con i loro familiari tra Palermo e Castel di Tusa. La loro vettura, una “Lancia Thesis”, era ferma al chilometro 260 dell’Autostrada del Sole A1, in Toscana, all’altezza della città di Baberino, immersa in una lunga coda. All’improvviso, un tir, guidato da un autista turco che non rispettò i segnali di attenzione, è piombato a tutta velocità sulla coda di macchine. L’auto dei due coniugi sbalzò in aria, ribaltandosi e trasformandosi in un groviglio di lamiere. La morte di Roberto Cona, entrato in coma al momento dell’impatto, si consumò presso il reparto di animazione dell’ospedale Careggi di Firenze il giorno dopo, il 27 luglio 2013 alle 13.15, sottolinea Marina “a circa 12 ore dodici ore dall’accaduto”. Gravissime le ferite multiple e le lesioni riportate dalla donna che hanno richiesto anni di cure e hanno comportato il rischio di non camminare più per l’importante frattura vertebrale. Le ripercussioni delle ferite, ancora oggi, si fanno sentire. L’espianto organi dell’uomo fu autorizzato dalla moglie, che, in un’intervista rilasciata all’ASAPS, ha commentato: “Ho voluto fossero donati perché la morte non doveva vincere. La vita di Roberto doveva continuare, aiutando altre persone a guarire da mali incurabili”. Il conducente del mezzo pesante tornò in Turchia due giorni dopo l’incidente ed il 10 settembre del 2015 è stato condannato in primo grado a tre anni di reclusione, con sospensione della patente per quattro anni. Una pena che, afferma Marina Fontana, “non ha mai scontato e mai sconterà, così come non ha mai chiesto scusa”.