L’industrializzazione del Mezzogiorno e la Manifattura Ceramica Pozzi di Sparanise
Sabato 3 agosto prossimo, al Centro “Don tonino Bello” di Sparanise, Bruno Ranucci, presenterà il suo bel libro sulla “Grande illusione” dell’industrializzazione a Sparanise. Sulla difficile nascita e sull’eutanasia di un progetto industriale unico in Italia. E’ stato bello che Bruno ce lo abbia ricordato, con tutti quegli aspetti, spesso sconosciuti, che lo hanno reso “bello ed impossibile”. Cogliamo l’occasione per parlarne. Bruno Ranucci ha almeno due grandi meriti: con il suo interessante libro ha risvegliato dall’oblio il ricordo della Pozzi e ha dato ai caleni e ai giovani studenti, l’opportunità, unica di questi tempi, di riflettere sulla Questione meridionale, sulla difficile industrializzazione del Sud, sulla classe operaia, sul sindacato e le lotte operaie che hanno infiammato l’Agrocaleno. Non solo Sparanise, quindi, anche Calvi Risorta, Francolise, Pignataro Maggiore, Teano, Giano Vetusto. Sono tantissimi infatti gli operai che, negli anni 70, hanno potuto vivere dignitosamente grazie a questa grande fabbrica. I giovani studenti con questo libro hanno potuto conoscere, non solo un pezzo importante della propria storia, ma anche aspetti inediti di architettura, sociologia, costume e politica che riguardano il loro paese, l’intera regione e personalità come Giulio Pastore, Michele Sindona e Salvatore Ligresti che nessuno si aspettava di incontrare nella storia locale di Sparanise. Perché il libro di Ranucci riflette con serietà e buonsenso sui problemi, sulle lotte, sugli interessi economici e perfino sulle colpe e le speculazioni che dal piccolo “villaggio” di Sparanise sono arrivate a Napoli e hanno raggiunto il Parlamento con schermaglie sindacali e politiche: con la CGIL che accusava la CISL di “appoggiare” l’azienda, con un sindaco democristiano che fa di tutto per aprire la fabbrica ed un altro sindaco, di sinistra, che la chiude dopo una ventina d’anni. Scrive Bruno Ranucci: ”La direzione aziendale d Sparanise, con grande senso di responsabilità di quel suo dirigente, cercò di dimostrare che gli edifici non avevano subito danni tali da impedire il proseguo delle attività, ma sorprendentemente, venne smentito dalla perizia dell’Ufficio Tecnico del Comune di Sparanise, il cui tecnico, inviato dal sindaco di allora, certificò, invece, la pericolosità di alcuni locali dello stabilimento, come quello del ceramico, che già era in predicato di chiudere.. Ringrazio Bruno anche per avermi data l’opportunità di ricordare mio padre che nella Pozzi ha lavorato 15 anni, prima nel reparto Ceramica (dal 13 maggio 1963), poi nel reparto Laminati ed infine in quello delle piastrelle. Se fosse stato in vita anche quest’anno, nonostante i suoi 96 anni, mi avrebbe certamente aiutato con i suoi ricordi lucidi, a scrivere queste righe. In primavera raggiungeva la fabbrica con la bicicletta o con il motorino, per la strada che costeggiava il cimitero, mentre d’inverno si faceva accompagnare in macchina dai suoi colleghi operai. Era contento del suo lavoro. E lo è stato fino al momento della cassa integrazione che ha coinvolto lui e tanti altri operai per anni. Ricordo ancora il Natale del 1969. C’ero anch’io al Teatro Patturelli di Caserta tra gli altri bambini a ritirare la strenna natalizia riservata ai figli dei dipendenti: era un trenino. Perché, all’inizio, la direzione faceva le cose in grande: impianti sportivi, squadra di calcio, banda musicale, vigili del fuoco, pacchi dono, premio di produzione, indennità di ferragosto, aumenti di paga, aumenti di indennità di mensa, corsi retribuiti di 150 ore per gli operai.
Quarant’anni fa, infatti, alla Pozzi, c’erano cinquanta giardinieri che curavano un giardino di 800 mila metri quadri ed un bosco pieno di cipressi. Era la più grande fabbrica del Sud costruita con i soldi della Cassa per il Mezzogiorno d’Italia su uno spazio complessivo di 1 milione e 200mila metri quadrati Una sorta di piccola città, “una città-fabbrica dove la natura non fa da sfondo, ma rappresenta piuttosto, la necessaria estensione del costruito”. Oggi di quella fabbrica a Sparanise è rimasto il grande complesso architettonico della “Palazzina rosa” abbandonato tra i rovi, i cartoni, le cartacce ed i materiali di risulta: la famosa “palazzina” costruita da Figini e Pollini, arrivati da Milano già fieri del loro progetto di ampliamento delle officine Olivetti ad Ivrea. La maestosa struttura ospitava i servizi amministrativi e 106 impiegati. Attorno alla palazzina, invece, si estendeva lo stabilimento: sul lato destro c’erano i reparti dei laminati e delle vernici, dietro quello dei tubi, sul lato sinistro quelli dei calandrati e del ceramico. La palazzina, nata dal genio dei due architetti milanesi, e diventata un bene vincolato dalla Soprintendenza ai Monumenti, certamente meritava di fare un’altra fine e non quella di essere abbandonata, perché ritenuta pericolante a causa del terremoto dell’80. Oggi, dopo quarant’anni, quella palazzina rosa, presenta i muri ancora intatti, qualche zona umida dovuta alle infiltrazioni d’acqua dal soffitto e tanta sporcizia all’interno: scatoloni pieni di materiale pubblicitario, manuali di vecchi computer, calcolatrici e macchine meccaniche abbandonate. Una struttura che si sostiene, incredibilmente, solo attraverso appoggi laterali fatti di pilastri molto esili. Ciò nonostante continua a rimanere intatta e a resistere all’abbandono, dopo oltre cinquant’anni di vita, dal momento che la fabbrica è stata aperta nel 1960 ed è stata chiusa vent’anni dopo, nel 1980. La palazzina rosa oggi è di proprietà del Comune di Sparanise, che con apposita delibera di consiglio, la n° 16 del 12 giugno 2015, decise di esercitare il suo diritto di prelazione per acquistarla. Il 25 gennaio scorso i nostri studenti del Foscolo di Sparanise, proprio grazie alla disponibilità del Comune, hanno avuto la possibilità di visitarla. Guidati dall’architetto Cerullo e da Giosuè Papale, un vecchio operaio della Pozzi, hanno scoperto la maestosità di una fabbrica abbandonata che aveva reso grande il paese con i suoi stabilimenti di Vernici, Sanitari, Laminati plastici, Tubi in PVC, Piastrelle e Film. Alle piastrelle lavoravano più di cento persone, ai Laminati 300, alle Vernici 400 ai sanitari più di 1200 operai. Giosuè era stato assunto in fabbrica come operaio nel 1960 ed è rimasto nello stabilimento Vernici fino al 1980, quando la struttura è stata chiusa. All’inizio, spiega, erano solo trenta operai, poi gli operai sono diventati più di duemila. Vi lavorava praticamente tutto il paese. Il Foscolo di Sparanise, proprio per ricordare ai suoi studenti la triste vicenda della Pozzi che da grande fabbrica è diventata una discarica, mercoledì 23 gennaio scorso, ha inaugurato il progetto “Legalità e territorio” finanziato dalla Regione Campania con fondi destinati all’educazione alla legalità. All’ incontro sono intervenuti il Giudice Domenico Airoma, Procuratore Aggiunto del Tribunale di Napoli nord, Bruno Ranucci per parlarci del suo libro, il sindaco Salvatore Martiello, il prof. Raffaele Montanaro, tutor del progetto e l’avvocato Chiara Marchini, esperto esterno. Il Progetto prevedeva un modulo di 40 ore, per 5000 euro di fondi europei, destinati proprio a far conoscere agli studenti di Sparanise la vicenda dell’Ex Pozzi, uno straordinario progetto di industrializzazione terminato nel peggiore dei modi: con una grande discarica a cielo aperto. Probabilmente una delle più grandi discariche d’Europa che conserva i resti nocivi di quel grande stabilimento di vernici che insieme a quelli dei tubi, dei laminati, dei cilindrati, delle piastrelle e dei sanitari, costituiva una delle fabbriche belle d’Italia. Ma il libro di Bruno Ranucci ci parla anche di altro: della storia economica del Meridione, del divario tra il Nord e il Sud dopo l’unificazione, dell’arretratezza del Mezzogiorno, delle vertenze sindacali, delle manifestazioni di popolo, delle condizioni di lavoro in fabbrica, delle conquiste e delle sconfitte degli operai. Il libro presenta anche documenti e testimonianze riguardanti il degrado ambientale e la grande discarica che oggi occupa i terreni che circondano il complesso industriale. Ma questo è un altro problema come quello che riguarda la Centrale a metano a ciclo combinato, che secondo “Calenia Notizie”, il Notiziario informativo della Calenia Energia (Anno I numero I ), avrebbe portato al paese 700 nuovi posti di lavoro, tra i quali periti tecnici, informatici e ragionieri. Anche questa è stata un’illusione, non meno grande della prima.