Il concerto no sa da fare!

Nella torrida estate libanese, il “tormentone” sulla bocca di tutti stavolta non è una canzone, ma un intero concerto di musica pop, prima annunciato e poi annullato su pressione di settori e organismi delle Chiese locali, a partire dalla Chiesa Maronita.
Il caso è quello della performance mancata dei “Mashrou’ Leila”, complesso libanese di musica pop conosciuto per atteggiamenti dissacratori. La band avrebbe dovuto esibirsi il prossimo 9 agosto, nell’ambito del Festival Internazionale di Byblos, la più grande manifestazione estiva libanese di musica e cultura. Ma le organizzazioni legate alla Chiesa Maronita hanno insistentemente chiesto la cancellazione del concerto, asserendo che i componenti della band, con le loro canzoni e le loro pose iconoclaste, oltraggiano figure e simboli cari alla sensibilità dei cristiani e dei seguaci di altre fedi. Il braccio di ferro è continuato per diversi giorni, scatenando sui “social” diatribe avvelenate tra chi sosteneva la richiesta di annullare il concerto e i settori che accusavano la Chiesa “oscurantista” di voler soffocare la libertà di espressione. Alla fine, gli organizzatori del Festival hanno gettato la spugna, annunciando due giorni fa che l’esibizione dei “Mashrou’Leila” è stata cancellata dal programma della manifestazione canora, allo scopo di tutelare l’ordine pubblico, evitare incidenti ed eventuali “spargimenti di sangue”.
Infatti, nell’organizzare la polemica, alcuni scalmanati avevano minacciato di usare la forza per impedire l’esibizione della band. Il gruppo musicale “Mashrou’Leila” si è formato presso la American University di Beirut e, negli ultimi anni, si è fatto notare per controversie riguardanti l’omosessualità e la convivenza tra diverse identità religiose. I giovani componenti del gruppo musicale vengono accusati di diffondere testi offensivi nei confronti della fede cristiana e anche di incitare alla perversione e all’occultismo. In passato, Hamed Sinno, lider della band, aveva diffuso, attraverso i “social”, una icona della Vergine Maria il cui volto era stato sostituito con quello della cantante Madonna. L’asserita vicinanza di Mashrou’Leila alle battaglie delle organizzazioni LGTB (termine collettivo per riferirsi a persone Lesbiche, Gay; Bisessuali e Transgender) aveva causato, in passato, l’annullamento dei concerti, sia in Egitto che in Giordania.
Negli ultimi giorni, erano sfumati tentativi di derimere la controversia con una soluzione di compromesso, fondata sulla proposta di togliere dal programma del concerto le canzoni più provocatorie e di presentare prima della performance, pubbliche scuse da parte dell’intera band, per aver offeso, in passato, la sensibilità religiosa di tanti connazionali. Per questo motivo, il Centro Cattolico d’Informazione e la Commissione Episcopale per i media erano tornati a chiedere con insistenza la cancellazione dell’esibizione. La Commissione Episcopale per i Media, riunitasi sotto la presidenza di Boulos Matar, vescovo maronita emerito di Beirut, e Michel Aoun, vescovo di Jbeil (nome arabo di Byblos), aveva anche emesso un comunicato in cui ribadiva che le canzoni della band “recano oltraggio alla religione, alla fede e ai simboli religiosi, deformando anche l’immagine di Dio”. La Commissione aveva anche invitato le istituzioni civili ad “assumersi la propria responsabilità in conformità con la Costituzione libanese, che richiama al rispetto delle religioni”. Proprio il richiamo a far rispettare la Costituzione e l’obiettiva latitanza mostrata dalle Istituzioni in merito alla faccenda, sta alimentando adesso la reazione di coloro che denunciano l’intervento della Commissione Episcopale come una manifestazione di indebita ingerenza clericale nel terreno politico. “Ancora una volta”, scrive il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, “lo Stato per la sua passività ha lasciato campo libero ad istanze religiose, forti di dettare le regole e imporre il proprio volere”.
La vicenda ha fatto emergere sentimenti ed esternazioni di personaggi che si presentano come ultrà dell’identità “cristiana nazionale” e che hanno minacciato sia il leader del complesso che i suoi musicisti.
L’avvocato Khaled Merheb ha sporto, nei giorni scorsi, denuncia, contro persone ed organizzazioni, compreso un sedicente “Partito cristiano democratico” libanese, per minacce di morte e istigazione al razzismo e al settarismo. I legali scesi in campo per contrastare i linciaggi mediatici contro la band libanese sostengono di voler difendere il Libano come “bastione di libertà” nel Medio Oriente, stravolto da settarismi e repressioni autoritarie.
L’intera vicenda manifesta le contraddizioni di un Paese dove lo stesso sistema istituzionale è basato sui fragili equilibri tra diverse religiose, ma dove, nel contempo le ostentazioni di marca settaria, manifestate da gruppi rumorosi, sembrano avere sempre meno presa nel vissuto reale di buona parte delle giovani generazioni, che sembrano guardare altrove.

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