“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
Il trentuno luglio di cento anni fa nasceva a Torino una delle voci più assordanti per le nostre coscienze umane, quella che ci aprì davanti agli occhi l’immane disastro dei lager nazisti, Primo Levi. Il chimico ebreo fu partigiano dopo l’armistizio di Cassibile e fu arrestato dalle milizie fasciste nel dicembre del’43, da dove fu poi deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Nei primi capitoli della sua opera più celebre, “Se questo è un uomo”, descrive con una cruda e scientifica descrizione l’arrivo nel campo di sterminio e le conseguenti operazioni compiute dai soldati nazisti ai deportati: l’essere spogliati dei propri vestiti, l’essere costretti a camminare nudi sotto il gelo dell’inverno polacco, il taglio dei capelli, la marchiatura a vita, come su un capo di bestiame. “Considerate se questo è un uomo” dirà Levi, che paragonò l’arrivo ad Auschwitz come il fondo del secchio, il punto più basso in cui un uomo possa giungere, da cui ogni evento successivo potrà solo essere migliore. Come già detto in precedenza, Levi era un chimico, uno tra i più importanti nell’Europa dell’epoca, e conosceva un po’ di tedesco; per questi motivi fu quasi un “privilegiato” all’interno del campo di concentramento, sfruttato dagli scienziati tedeschi per le sue conoscenze. Primo Levi rimase ad Auschwitz fino alla liberazione del lager del ventisette gennaio del 1945 ad opera dell’Armata Rossa e, dopo circa nove mesi di viaggio, passando attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Germania e Austria, ritornò in Italia (La vicenda è narrata nel suo romanzo “La tregua”). Nell’Europa postbellica, la Shoah divenne un tabu da evitare, qualcosa da nascondere, qualcosa da far passare sotto silenzio; troppa era l’inspiegabilità di quell’evento di portate enormi, che aveva portato all’annientamento quasi totale delle comunità ebraiche europee. Non si comprendeva fino in fondo il motivo di un’operazione così spietata, organizzata da uomini per lo sterminio di altri uomini. Comprendere è tuttora impossibile; ma Primo Levi capì che conoscere era necessario per evitare di ripetere lo stesso terribile errore del passato, un passato da non dimenticare, ma da ricordare. Così divenne scrittore, testimone diretto di quel disastro, che è arrivato fino a noi grazie alle pagine dei suoi libri. In un’epoca dove vecchi sentimenti continuano ad affiorare, dove il razzismo dilaga, dove la gente dubita della Storia stessa, seguendo false strade e teorie del complotto, il discorso di Levi è fondamentale. Perché il Passato non è mai domito, perché il Presente e il Futuro dipendono fortemente da esso. Conoscere è necessario.