Recensione su fiction di argomento storico
Reale interesse ed intensa attenzione sta suscitando la nuova serie per il canale televisivo internazionale Netflix: “The Last czars”, prodotto dall’inglese “Nutopia”, le cui scene salienti sono state girate nelle maestose foreste della Lituania. Diversi erano già stati i film di qualità sulla caduta dello zarismo in Russia, ragion per cui non era facile coinvolgere gli spettatori in modo paragonabile: tuttavia, tale fiction riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo, originale, ed a trasmettere emozioni forti. L’opera è una miscellanea di documentario, con interventi di storici che interpretano gli eventi, attraverso un lavoro anche “indiziario”, ed appunto, fiction, molto minuziosa e ben interpretata. In Italia, è stata resa disponibile dal 3 luglio 2019. La serie, in effetti, è capace di scuotere, attraverso il dramma generale della Russia tra fine Ottocento ed i primi del Novecento, e quello particolare della famiglia imperiale: da una vita, per molti aspetti ,splendida, ma già minata dall’emofilia dell’erede al trono, alla fine straziante. Più in generale, vengono mostrati alcuni lati oscuri di una rivoluzione, pur nata inizialmente da ideali di pace e giustizia, “Gli ultimi zar” , opera in sei puntate, risulta, in effetti, artistica, su una vicenda dal fascino imperituro: per molti aspetti storicamente aderente, in altri trasfigura la realtà, mettendo in scena quello che sarebbe potuto essere, non a caso: sviluppando le potenzialità di una vicenda che aveva tutti gli ingredienti per diventare un potente romanzo storico. Diversi gli aspetti poco noti approfonditi nella fiction: in alcune scene efficaci, la zarina Alexandra trova sollievo nella droga, che accentua il suo atteggiamento marcatamente enfatico, durante i suoi entusiasmi mistico-religiosi. Molto validamente interpretata anche la figura di Rasputin: cinico, gaudente libertino, a suo modo autoconvinto sinceramente del proprio afflato mistico e capace di leggere nell’anima degli altri, sia pur per fini non sempre limpidi; il dissoluto monaco contribuisce a screditare la corte di Russia, che sembrava in mano a squilibrati, poichè non si comprendeva il motivo della presenza dell’avventuriero: pochissimi sapevano infatti della malattia dell’erede al trono…notizia censurata, per non farlo apparire troppo fragile. Nella fiction, emerge, poi, la figura molto dolce della granduchessa Marija (terza figlia di Nicola II), con il suo atteggiamento “accogliente”: civettuola, ma priva della malizia più grande, quella della cattiveria dell’odiare qualcuno solo per la sua nascita e quindi origine; il suo amoreggiare con un soldato rosso più umano e gentile potrebbe sembrare superficiale, ma non lo è: simbolicamente può darsi rappresenti, da parte di entrambi, un romantico accettarsi, in un certo senso superiore alla sorte, che li aveva fatti trovare in posizioni differenti: un inizio di amore, reciso da situazioni più grandi di loro, che purtroppo hanno visto prevalere la disumanità. Eppure, vera rivoluzione, nel senso di rivolgimento migliore, poteva essere proprio quell’amore tra la guardia comunista e Marija, cioè senza pregiudizi da nessuna delle due parti. Alcune scene suggeriscono, a tratti, l’emergere di una possibile filosofia della storia, che si può coltivare per evitare, in futuro, certe tragedie storiche, proprio analizzando ciò che il passato ha voluto dirci. Lo zar sembra un mite padre di famiglia; non viene edulcorata, giustamente, la situazione di effettiva tirannia zarista, se non pienamente medievale, quantomeno connotata da una mentalità da “ancien règime”; tuttavia, si intuisce anche quanto il sovrano non fosse personalmente cattivo, ma, più che altro, troppo distante e “fuori tempo” rispetto alla sua epoca, con cui non riesce a sintonizzarsi. Poco tagliato per governare, l’imperatore addirittura piangeva per la propria incoronazione, non desiderando essere zar, con tutta la sua schiacciante responsabilità. Molte le altre scene intense ed incisive: tra le varie, molto toccante quella in cui il precettore dei figli dello zar, Gilliard, cerca di seguirli, dopo la rivoluzione, ma viene fermato dal commissario Jurovskij, che lo tiene sotto tiro con la pistola: si presagisce già la minaccia di sterminio..ed anche che forse, quasi più della violenza fisica, ci sia stata una situazione di agonia, tortura psicologica; anche la scena in cui la zarina prega in ginocchio durante una umiliante e vessatoria perquisizione è a tinte forti. Struggente la scena in cui Nicola promette ad Alexandra che la riporterà tra i fiori della tenuta di Livadija, mentre la nobile famiglia, ormai caduta in disgrazia, è prigionieria sugli Urali e sente distintamente il rombo del cannone, perchè fuori divampa una guerra civile senza esclusione di colpi, e nella casa-prigione sta per accadere il finimondo. Sconvolgenti le provocazioni di alcuni estremisti del Soviet di Ekaterinburg, (considerato troppo aggressivo anche da Lenin) che volevano fingersi liberatori con dei bigliettini, per attirare fuori i Romanov e trovare la scusa per sparargli: purtroppo storicamente fondate. Sebbene sia discutibile una santificazione dei Romanov, però indiscutibilmente la provocazione si rivela diabolica: il diabolico che è nell’umano, nel senso più odioso. Non lascia indifferenti la scena nella stanza del massacro: l’ alternarsi di forti speranze e forti paure, lo stordimento e la disperazione che traspaiono, trasmettono una sicura scossa. Una scena fondamentale della fiction, che comunica i sentimenti che si potrebbe provare in una scena d’inferno simile a quella; molto eloquente lo sguardo muto ed attonito di Anastasija, che pare in ginocchio e che nulla dice, ma comunica l’impressione di chiedere, con gli occhi, il perchè di tale barbaro supplizio, e molto espressivo lo sguardo di Jurovskij… I due sguardi si incrociano: il sentire di Jurovskij rimane inespresso con le parole, ma la sua espressione è intrisa di freddo disprezzo ed è portatrice di gelida distanza. Sembra quasi, in effetti, che Jurovskij voglia schiacciare un microbo, portatore di una “infezione ideologica”: purtroppo, infatti, Jurovskij considera, chiaramente, anche le giovani Romanov alla stregua di una “parte politica”, cui pensa con ribrezzo, rimuovendo la loro innocenza su qualunque responsabilità di governo, che peraltro non avrebbero neanche potuto ereditare per la consuetudine locale, in quanto donne… Traspare che Jurovskij potesse avere avuto numerosi motivi fondati per odiare il sistema zarista, ma anche che nulla, proprio nulla al mondo, giustificasse il suo essere tra i responsabili di una strage che si rivela disonorevole infamia, esempio di ferocia impunita. In ogni modo, il cupo personaggio viene interpretato in modo efficace. L’enormità di quanto accaduto viene spiegata con una indubbia situazione esplosiva, ma interpretata anche, dalla voce fuori campo di Gilliard, in quanto follia connessa ai mali della guerra. La seria rivela maggiormente validi attori, che interpretano personaggi storici dei quali sembrano nuove personificazioni: tra questi, lo scozzese Robert Jack (nella parte di Nicola II), gli inglesi inglese Susanna Herbert, per la zarina Alexandra, Ben Cartwright, per Rasputin, lo scozzese Duncan Pow per Jurovskij, le giovanissime attrici lituane, dalla dolce bellezza, Gabija Pažūsytė( per Anastasija), Digna Kulionytė (per Marija), Karolina Elžbieta Mikolajūnaitė(per Olga), Aina Norgilaitė (per Tatijana), Indrè Patkauskaitè (Anna Anderson), il giovanissimo interprete lituano Oskar Mowdy (per Alexej). Diverse erano state le opere dedicate a questa vicenda storica, cui “The Last czars” ha aggiunto chiavi interpretative molto interessanti, in più; in particolare, tra i più noti vi sono stati il celebre film “Anastasia”, del 1956, con Ingrid Bergman, Il film inglese del 1971 “Nicola e Alessandra”, i film russi “L’assassino dello zar” (1991), “I Romanov-una famiglia imperiale” (2000), il popolare e fantasioso cartone animato “Anastasia” di Don Bluth (1997), ed altro ancora. Tra i vari precedenti sulla tematica, “The last czars” ricorda in particolare la pellicola “Nicola ed Alessandra”: anche quest’opera offre interpretazioni della storia in forma archetipica e poetica, mostrando ciò che sarebbe potuto essere, e le potenzialità di determinate situazioni, più che riprodurre ciò che è stato letteralmente, a proposito degli eventi cui si ispirano: proprio per questo, rimane un film artistico, che rimarca la presenza di denominatori umani universali e ricorrenti, a parte le circostanze particolari, che appaiono più sovrastrutture rispetto a sentimenti ricorrenti nell’umanità. Gli interpreti, sia noti in forma maggiore che minore, si erano fatti notare per l’intensità dell’interpretazione, quasi visionaria, su eventi sentiti quasi come propri. Ricordiamo i nomi principali, tra cui la sudafricana Janet Suzman (per la zarina), gli inglesi Michael Jayston (per lo zar), Lynne Frederick, (per Tatijana) Candace Glendenning (per Marija), Roderic Noble (per Aleksej), Fiona Fullerton (per Anastasija), Ania Marson (polacco-inglese, che recita la parte di Olga), che resero familiari anche per persone comuni vicende storiche tragiche, rispetto a cui il film mette in scena un romanzo storico potente. La loro bravura e la loro bellezza malinconica, altera ma anche dolce, toccarono il cuore degli spettatori, rendendolo uno dei film che rimangono in noi. Tornando alla fiction “The last czars”, infine, fonde felicemente una vicenda storica che appare quasi senza tempo, con il suo messaggio universale, ed il mezzo particolarmente moderno con cui viene veicolata. Nel canale Netflix, infatti, film e serie ad episodi sono, distinte per generi, rimanendo depositati per il pubblico, quasi come su un computer: una formula che favorisce la scelta consapevole e l’approfondimento più sentito.