Il Patrimonio vilipeso: i nostri beni culturali sempre sotto attacco

Come già evidenziato in altri miei articoli sull’argomento (vedi: «La sicurezza delle persone passa per il rispetto dei beni culturali» e «Il sistema culturale italiano. Una perla preziosa che non sappiamo più indossare» link: https://bit.ly/2VfJAVi e https://bit.ly/32jGMdo) il nostro incredibile patrimonio storico, fatto non solo di cultura classica, archeologica o religiosa, ma anche di una miriade di forme diffuse e differenti come quella industriale, artigianale, sportiva, associativa, commerciale o naturalistica, è continuamente sotto attacco. Pensando esclusivamente alle notizie relative alla criminalità organizzata, come pure al terrorismo internazionale, si potrebbe equivocare questa affermazione riducendola al problema dei furti d’arte o, in altre aree del pianeta, alle odiose e assurde distruzioni per motivi di contrapposizione religiosa, ma purtroppo il grosso dei danni alle nostre straordinarie opere viene malauguratamente e direttamente dai “cittadini normali”. Si, avete capito benissimo. Il grosso problema dei beni culturali italiani, e in misura proporzionalmente minore anche di quelli di tanti altri paesi occidentali, che si autocelebrano quale luoghi di correttezza assoluta, è proprio l’inciviltà e l’incoscienza, che potremmo sinteticamente definire “ignoranza”, di una non marginale porzione dei propri cittadini. Se volessimo escludere anche gli atti di vandalismo, stupidaggini da adolescenti e adulti mai cresciuti, dalla casistica dei veri e propri danni da azioni criminali, come accaduto a Vicenza nel 2016 con l’imbrattamento del trecentesco affresco al Tempio di San Lorenzo da parte di ragazzini tra gli 11 e i 13 anni, come potremmo definire i continui piccoli atti che tanti disattenti turisti, interni ed esterni, perpetrano giornalmente vivendo città e luoghi di vacanza? Semplice disattenzione? Momenti di lucida ignoranza? Atti di vero menefreghismo? Vandalismo in giacca e cravatta da turismo estivo o del fine settimana? Siamo certi che vi sia incoscienza e non si tratti, piuttosto, del solito brutto viziaccio italico di considerare la proprietà privata un luogo dove mettere marmi e suppellettili di lusso, per mostrare il proprio “rango sociale”, e al contempo, pur criticando le presunte inefficienze dello Stato, considerare le proprietà pubbliche come discariche a cielo aperto, come luoghi dove l’inciviltà è consentita e del tutto normale? Non è forse vero che oggi compriamo smartphones con schermi definiti indistruttibili e poi, per proteggere il nostro acquisto, gli appioppiamo protezioni esterne antigraffio? È giusto, non si contesta. Ciò che viene da contestare, almeno per me con un senso di estrema rabbia, è per quale motivo il “bene comune” risulta differente? Come mai lo stesso cittadino, che un minuto prima ha protetto il proprio telefono, il proprio appartamento, la propria macchina, per prendersi cura di una proprietà personale, non si preoccupa minimamente di proteggere, tutelare, rispettare qualcosa di talmente grandioso da dover essere per forza di cose una proprietà comune? Questo articolo, cari amici, lo avevo in testa da quando, in vacanza, ho scattato la foto che lo accompagna. Questa foto potrebbe essere definita, su una rivista satirica, come “Opera d’arte in vacanza” visto il risultato decisamente simpatico che turisti poco rispettosi hanno ottenuto salendo sulla scogliera del porto di una nota cittadina marchigiana. L’attenta amministrazione locale, che vi ha realizzato un museo del mare a cielo aperto, per diffondere la cultura abbellendo il proprio territorio, combatte costantemente contro diversi turisti (locali o stagionali non è dato saperlo) che, pur contrastati dalla Capitaneria di Porto e dalla Polizia locale, si ritengono superiori a tutto e tutti superando i divieti normativi e, soprattutto, superando il divieto morale di deturpare opere d’arte che appartengono alla comunità locale e nazionale. Negli stessi giorni in cui ho trascorso le mie vacanze in questa amena località di mare, per l’ennesima stagione, ho assistito addirittura a personaggi da film che litigavano con agenti della Capitaneria intervenuti per riportare ordine in un tratto di porto dove, oltre chi va a passeggiare, correre o ammirare le varie opere all’aperto, giornalmente riceve le “furbe attenzioni”, all’italiana, di chi ritiene plausibile appendere una borsa del mare su sculture magistralmente create, o chi, in virtù delle questioni politiche nazionali attuali, non vuole assolutamente ricevere ramanzine e alza la voce contro giovani agenti che rappresentano proprio lo Stato che si accusa di essere perennemente assente! Quanta ipocrisia! Anche le continue polemiche relative alle ordinanze che via via si implementano a Roma, Venezia, Pisa o Firenze, per combattere l’imbrattamento dovuto alle orde barbariche di civilissimi cittadini, solo nelle proprie case, che poi mangiano e sporcano su sagrati, porticati o altre porzioni dei nostri invidiati beni culturali, sono un chiaro segnale del livello di menefreghismo e ipocrisia generale nei confronti della nostra identità comune. È davvero tanto difficile, per gli italiani, considerare il patrimonio storico-culturale come bene personale e tutelarlo come un intimissimo bene privato? È così difficile comprendere che rispettare una piazza, un’area archeologica, una statua, un lungomare, un sagrato, è rispettare se stessi? Siamo davvero così poco consapevoli di noi stessi? A questo punto, chiudendo con un po’ di simpatica ironia campana, mi viene da citare una bellissima battuta tratta dal mitico film “Così parlò Bellavista”: «giovanotto, spazzino, vedete quelle carte là a terra ‘nzevate? Quella è roba della signora del terzo piano. Dice che è nobile, è contessa e non può cucinare altrimenti le si rovinano le mani. E poi s’accatta panzarott e pall e riso e mena tutte e carte fetenti abbasc! Bella chiavica e contessa!». Quando si dice che il cinema ripropone i vizi e le virtù degli italiani. Più chiaro di così… si muore. Meditate gente, meditate…

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