Tradizione, fede e arte caratterizzano il “Settembre Viterbese”
La città di Viterbo non si è ancora ripresa dai “magici” e “suggestivi” momenti di emozione e fede provocati, il 3 settembre u.s., dalla tradizionale “Macchina di Santa Rosa”, in occasione dei secolari festeggiamenti in onore della Santa Patrona, nell’attraversamento delle strade della cittadina, da Piazza San Sisto al Santuario di Santa Patrona, che si appresta a vivere un altro momento di alta espressione artistico-sociale. Domani, sabato 7 settembre, nell’accogliente e funzionale Museo Nazionale Etrusco “Rocca Albornz”, Piazza della Rocca, n. 21, l’attrice Anna Foglietta porterà in scena il monologo “UNA GUERRA”, secondo capitolo della quadrilogia “Un Amore, Il potere, Il caso e l’invenzione” di Storie dal Decamerone di Michele Santeramo, accompagnata alla viola dal musicista Luigi Gagliano. Le musiche originali sono di Francesco Mariozzi, violoncellista, musicista e compositore poliedrico. L’attrice Anna Foglietta, più volte candidata al David di Donatello, vincitrice del Nastro Speciale d’Argento, del Premio Maschere d’Oro e del Premio De Sica è una madre in guerra che nel conflitto ha perso il marito. Ma non si è fermata. Dalla tragedia ha saputo venir fuori grazie a una forza straordinaria che la tiene a galla al di sopra della voragine in cui la vita rischia di sprofondare. Madre di due bambini piccoli, in fuga da un paese ridotto in frantumi, alla ricerca di una possibilità in un posto sconosciuto ma senza guerre e già raggiunto da altri connazionali e con fortuna. Ma un naufragio provoca la distruzione della barca e la morte atroce di tutti i passeggeri alla quale scampano soltanto la donna e i suoi due piccoli. Si materializzano, dunque, gli istanti, i minuti, le ore tremende in cui la madre attaccata a un relitto della barca con i suoi figli è chiamata ad affrontare una vera partita con la morte. Non c’è nessuno intorno che possa aiutarli, l’orizzonte non prefigura la salvezza, da sola la madre non può permettersi di abbandonare forza e lucidità e di smettere di rincuorare i bambini, di combattere strenuamente per salvarli. Ma la vita ha riservato per lei un macigno dalle dimensioni enormi, una scelta al limite che la porta a dover tradire la sua stessa carne: per poter sperare ancora nella sopravvivenza di uno dei suoi piccoli, ella sarà obbligata a sacrificare la vita dell’altro, del meno forte e capace di resistere nelle loro condizioni disperate. Le onde del mare accolgono dolcemente il suo corpicino, mentre il destino beffardo dà alla madre e al fratello maggiore la salvezza insperata. I naufraghi infatti approdano sulla terraferma, rivedono spiagge, persone, cibo, vallate, vita che scorre, ma non conoscono il sorriso, né attimi di felicità per quanto posto in essere. Madre e figlio si apprestano ad un calvario insormontabile finché si imbattono in un gruppo di persone radunatesi su una collina per poter sfuggire alle sofferenze del passato, alla peste che ha avvelenato le loro vite. Queste persone trascorrono il tempo raccontandosi novelle, storie che hanno il potere di guarire grazie alla semplicità della parola, del fermarsi ad ascoltare e riflettere. Quanto sarà narrato dall’attrice romana è un racconto dai risvolti estasianti, carico di speranze e perseveranze, che si dirige come un colpo allo stomaco, dolcissimo alla madre e le restituisce il sentimento che le aveva concesso di superare tempeste smisurate: la fiducia. La fiducia nell’ipotesi difficilissima che il suo piccolo sia stato condotto in salvo dal mare, e il sogno di udire la sua voce, che la invita ad andare a riprenderlo, a riattraversare strade, sentieri e asperità chilometriche per ricongiungersi di nuovo.
La Foglietta nella sua rappresentazione-narrazione vuole dimostrare che la storia di “UNA GUERRA”, come d’altronde le altre storie degli altri tre capitoli di “Storie del Decamerone”, è una storia dell’oggi, di malessere, di presa di coscienza di quel malessere, di quella personale “peste” che serve oggi a guarire dai nostri affanni privati, necessità, dubbi e costituisce lo specchio in cui guardarci per provare a guarire dalla nostra “peste”.