Tra mito e realtà
E’ interessante capire, attraverso le testimonianze dei suoi più stretti collaboratori, il profilo di Adolf Hitler come capo militare, sensibilmente diverso dalla descrizione che, del dittatore, avevano fatto, ad esempio, la stampa, i cinegiornali ed alcuni autori, che avevano studiato il personaggio a ridosso degli eventi o durante gli stessi. Vale la pena di riportarlo, perchè aiuta a spiegare le origini della sua potenza e le cause sella sua rovina. Vi fu un uomo, che più di ogni altro aveva conosciuto Hitler nell’intimità dei suoi atteggiamenti, nella libertà delle sue esternazioni senza freni o remore di immagine pubblica, un giovane generale, entrato nelle sue simpatie e depositario della sua fiducia.
Il modo in cui Hasso Eccard von Maunteuffel (1897-1978), ufficiale carrista, attirò su di sé l’attenzione del Führer, è anch’esso illuminante. Nell’agosto del 1943 gli venne affidato il comando della 7^ Divisione Corazzata, la stessa che Rommel aveva retto nel 1940. Essa faceva parte del Gruppo d’Armate del Generale Manstein. In quell’autunno i Russi dilagarono oltre il Fiume Dniepr e conquistarono Kiev; poi proseguirono rapidamente l’avanzata verso ovest, puntando sulla frontiera polacca.
Il Generale Erich von Manstein (1887-1973) non disponeva più di una riserva organica, in grado di far fronte all’ennesima nuova crisi e incaricò Manteuffel di raccogliere tutte le unità sparse, che sarebbe riuscito a trovare, per improvvisare un contrattacco. Manteuffel, trovati gli uomini necessari, sbucò alle spalle dei russi, che nel frattempo erano avanzanti e li ricacciò, con un attacco notturno, dal nodo ferroviario di Zhitomir. Puntò, successivamente, verso nord, occupando Korosten. Suddividendo le sue magre forze in tanti piccoli gruppi mobili, produsse sul nemico un’impressione assolutamente sproporzionata, tanto che l’avanzata russa improvvisamente si arrestò. Dopo di che, Manteuffel perfezionò ulteriormente il suo sistema di incursioni e scorrerie in profondità, che isolarono le colonne dei mezzi corazzati russi e le colpì alla spalle.
Disse in seguito: “L’efficacia del sistema era diminuita, dal momento che i russi non dipendevano, per gli approvvigionamenti, da mezzi logistici normali. Non mi sono mai imbattuto in loro colonne, nelle mie incursioni. Oltre che colpire alle spalle la truppa, presi in trappola Stati Maggiori e Centri di Comunicazione. Queste incursioni in profondità furono molto efficaci nello spargere confusione. Naturalmente, per operazioni di questo genere, una divisione corazzata deve essere autonoma quanto ai rifornimenti e portare con sé tutto il materiale di cui ha bisogno, così da non dover dipendere dai servizi logistici, per tutto il corso dell’operazione”. Evidentemente Manteuffel metteva in pratica quello che il Generale britannico Percy Hobart aveva dimostrato, al comando della 1^ Brigata Carri, nella zona del Salisbury Plain, negli anni 1934-35, pur non riuscendo a convincere il suo Stato Maggiore che tale forma di strategia era inattuabile.
Hitler, dal canto suo, fu molto soddisfatto di questo nuovo sistema tattico e, curioso di saperne di più, invitò Manteuffel ed il Comandante del suo Reggimento Carri, il Colonnello Schultz, a passare il Natale al suo Quartier Generale, presso Angerburg, nella Prussia orientale. Dopo essersi congratulato con Manteuffel, Hitler disse: “Come dono natalizio, le darò cinquanta carri armati”.
Nel gennaio del 1944, Manteuffel ebbe il comando di una Divisione particolarmente rinforzata, la “GrossDeutschland”, e fu mandato con essa in vari settori, ad arginare sfondamenti o a liberare reparti intrappolati dalla marea dell’avanzata russa. A settembre, dopo l’apertura di un varco per raggiungere le forze tedesche rimaste isolate sulla costa baltica, presso Riga, fu promosso, con un salto di diversi gradi, e destinato al comando della 5^ Armata Corazzata, in Occidente.
In quell’anno, vide il Führer assai più frequentemente che non fosse dato ad altri alti ufficiali, perchè Hitler lo chiamava spesso a sé, per discutere di speciali missioni, per risolvere situazioni critiche e per consultarlo sui problemi della guerra corazzata. Questi stretti contatti, gli permisero di penetrare sotto quella superficie che terrorizzava o ipnotizzava altri colleghi. Molti anni dopo la fine della guerra ebbe a dire: “Hitler possedeva una personalità magnetica, anzi ipnotica, che esercitava un effetto stupefacente su coloro che andavano da lui, con l’intenzione di esporre le proprie opinioni su qualsiasi tema. Essi incominciavano a perorare il loro punto di vista, ma a poco a poco venivano a trovarsi soccombenti di fronte alla sua personalità e spesso finivano con il dare assenso a soluzioni opposte a quelle da loro caldeggiate. Io, invece, avendolo conosciuto a fondo, nell’ultima fase del conflitto, avevo imparato ad inchiodarlo all’argomento in discussione e a mantenere il mio punto di vista. Non mi sentivo intimorito da lui, come molti altri. Spesso, dopo quel Natale che avevo passato con lui in seguito al colpo vittorioso di Zhitomir, che aveva attirato la sua attenzione, venivo chiamato al Quartier Generale per consultazioni”.
Hitler aveva letto una quantità enorme di opere militari. Gli piaceva molto ascoltare conferenze sull’Arte Militare. Così, in aggiunta alla sua esperienza personale di soldato nella Grande Guerra, aveva acquisito una conoscenza eccellente, su quello che può essere definito lo stadio elementare di una guerra: le caratteristiche delle diverse armi, l’effetto terreno e l’effetto tempo. Era particolarmente abile nel percepire la mentalità ed il morale della truppa. Non aveva alcuna idea delle combinazioni strategiche e tattiche più sofisticate e complicate. Aveva, al contrario, un vero fiuto per la strategia e la tattica da impiegare nelle mosse a sorpresa. Gli mancavano, però, le basi fondamentali di quelle cognizioni tecniche, che erano necessarie per una opportuna gestione nel campo pratico.
Manteuffel scrisse nelle sue memorie, poco prima di morire, come si fosse sviluppato, nella mente di Hitler, il sistema difensivo detto a istrice: “Quando le nostre truppe erano costrette ad indietreggiare davanti agli attacchi russi, esse venivano attratte, come calamite, verso le località approntate a difesa nelle retrovie. Ripiegando, trovavano naturale riorganizzarsi intorno ad esse e opporre di là una resistenza accanita. Il Führer fu pronto ad apprezzare il valore di tali postazioni fortificate e l’esigenza di mantenere il controllo. Ma trascurò la necessità di dare ai comandanti di settore una ragionevole autonomia, sia per modificare i loro dispositivi, sia per ritirarsi, se fosse stato necessario. Pretendeva che tali questioni gli fossero sempre sottoposte, in ogni caso. Troppo spesso, prima che egli avesse preso una decisione, i russi avevano travolto l’inutile resistenza ad oltranza”.
In effetti, Hitler aveva la tendenza ad ubriacarsi di dati numerici e quantitativi. Mentre i suoi collaboratori discutevano un problema con lui, egli afferrava ripetutamente il telefono, chiedendo di essere messo in comunicazione con questo o con quel dirigente, al quale domandava: “Quale è il numero di questo o il numero di quello”. Poi si rivolgeva nuovamente a chi stava discutendo, gli enunciava la cifra ed aggiungeva: “Ecco! Che cosa vi dicevo?”, come se questo risolvesse il problema. Era troppo pronto ad accettare i numeri sulla carta, senza chiedere se le quantità dichiarate fossero realmente disponibili. Era sempre così, quale che fosse l’argomento: carri armati, aeroplani, uomini, fucili o badili.
Sempre il Generale Manteuffel raccontava: “ Generalmente il Führer chiamava al telefono l’Architetto Albert Speer e ancor più spesso il Generale Walther Buhle, che sovrintendeva agli stabilimenti industriali. Buhle aveva sempre con sé un libretto di appunti, dove erano pronti i numeri, che Hitler gli avrebbe sicuramente chiesto e, immancabilmente, rispondeva a puntino. Ma, anche se i numeri corrispondevano alla produzione effettiva, una gran parte del materiale prodotto era ancora nelle fabbriche e non al fronte”.
Anche Hermann Goering raccontò di un giorno in cui Hitler gli garantì che gli avrebbe fornito dieci divisioni di fanteria, formate con soldati dell’aviazione, non considerando che gli uomini della Luftwaffe erano addestrati soltanto per operazioni aeree e avrebbero avuto bisogno di un nuovo e lungo addestramento, prima di essere idonei alle operazioni terrestri. Ora, quanto più si viene a conoscenza dei retroscena della guerra in Germania, tanto più si accentua l’impressione che, da una parte, Hitler avesse un fiuto naturale per la strategia e la tattica eterodosse e che, dall’altra, lo Stato Maggiore fosse sì molto competente, ma privo di originalità. Si ha la sensazione che l’errata valutazione dei fattori tecnici da parte del Führer, irritasse talmente i vertici delle Forze Armate, da indurli a sottovalutare o a negare il valore delle sue idee e che, d’altra parte, la loro ortodossia e la loro mancanza di ricettività irritassero fortemente Hitler. In tal modo, anziché una collaborazione fattiva, si era stabilita, fra lui ed in suoi generali, una sorta di “tiro alla fune”.
Manteuffel, riassumeva la malattia che affliggeva l’ambiente militare, così: “Dissi al Führer, quando passai il Natale con lui nel 1943, discutendo sulla divergenza di vedute tra i comandanti di unità corazzate e i generali formatisi nell’impiego delle armi tradizionali, che tali atteggiamenti avrebbero portato ad una disfatta irreparabile”. E questo, la storia ce lo ha dimostrato, è poi irrimediabilmente accaduto.