La Chiesa che cambiò
“Straordinaria, è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la Santa Messa. Oggi si inaugura la nuova forma della Liturgia, in tutte le parrocchie e chiese del mondo, valida per tutte le Messe seguite dai fedeli. È un grande avvenimento, che dovrà essere ricordato come principio di rigogliosa vita spirituale, come un nuovo impegno, che riguarda il grande dialogo tra Dio e l’uomo”.
Era il 7 marzo 1965. Queste le parole pubblicate da “L’Osservatore Romano”, il giorno in cui Papa Paolo VI, nella parrocchia di Ognissanti, sull’Appia Nuova a Roma, celebrava la prima “Messa in lingua italiana”. Uno dei più grossi cambiamenti della Chiesa moderna, che iniziava a rivolgersi alla gente, con le parole della gente.
Non a caso Giovanni Battista Montini, che fu Arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963, prima di diventare Papa, scelse per questa celebrazione, una parrocchia retta dagli “Orioniani” e non celebrò in Vaticano. Per la prima volta, venivano attuate le decisioni prese all’interno del Concilio Vaticano II (avviato nel 1962 da Papa Giovanni XXIII e chiuso nel 1965 da Paolo VI). Tra le varie nuove indicazioni, c’era quella di officiare il rito nella lingua natale dei partecipanti e non più in latino, cancellando un’usanza, in vigore sin dal 1570. In aggiunta, veniva modificata la posizione del sacerdote durante la Messa, che era rivolto ai partecipanti e non più a loro di spalle. Pur tuttavia, alcune parti della Messa continuarono a essere pronunciate in latino. Occorrerà aspettare il 1969 per avere, in italiano, tutto il Messale Romano e il completamento della riforma.
Dopo una iniziale discussione all’interno del Concilio, il primo passo fu fatto il 4 dicembre 1963, quando venne approvata la costituzione liturgica “Sacrosanctum Concilium”, con soli 4 voti contrari e 2.147 a favore.
All’interno del testo si legge: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. Dato, però che, sia nella Messa che nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti” (articolo 36).
A questo primo provvedimento, fece seguito, il 27 gennaio 1965, la promulgazione del “Ritus servandus in celebratione Missae” (il cosiddetto “Messale del 1965″), un testo che prevedeva la possibilità di utilizzare la lingua definita “volgare” in alcune parti della Messa ed entrò in vigore la prima domenica di Quaresima del medesimo anno.
La prima Messa celebrata in italiano risale, in verità, al 15 settembre 1953. Venne celebrata a Lugano, in Svizzera, alle 8 del mattino, nella chiesa di San Nicolao, dal Cardinale Giacomo Lercaro, l’allora Arcivescovo di Bologna, in apertura del “Terzo Congresso Liturgico Internazionale” che aveva proprio per tema “La partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia”. E fu anche la prima Messa concelebrata.
“Il Giornale del popolo”, quotidiano ticinese, scrisse il giorno dopo: “Abbiamo assistito a un rito semplice di austera bellezza, con la lettura dell’epistola e del Vangelo in italiano”. Alla Messa prese parte anche il Cardinale Ottaviani, Custode della Dottrina della Fede, anche lui a Lugano per il Congresso. Il giorno seguente, però, tornò a Roma in segno di protesta. Al fuori dell’Italia, alcune conferenze episcopali aveva già ottenuto la possibilità di avere rituali bilingue. Nel 1947 lo ebbero l’episcopato francese e quello tedesco e nel 1954 quello americano. In Italia nel 1953 venne solo autorizzato l’uso dell’italiano nelle risposte dei fedeli, durante il rito del battesimo. La prima Messa celebrata interamente in lingua volgare fu quella in croato, il 1° maggio 1931, grazie all’autorizzazione di Pio XI.
I primi riti strutturati, che la storia ricorda, vennero eseguiti in una forma base di greco, la lingua più diffusa nella parte orientale dell’impero romano. Il passaggio all’utilizzo del latino avvenne solamente a partire dal IV secolo dopo Cristo, quando il Cristianesimo si stava avviando a diventare la religione ufficiale dell’Impero (istituzionalmente questo avvenne nel 380 d.C., con il famoso editto di Tessalonica). Ricorda Enzo Bianchi, Priore della comunità monastica di Bose: “In me il ricordo di quella Messa (in latino, ndr.) resta vivissimo. Dai sei ai ventiquattro anni è stata per me la Messa quotidiana, in cui «servivo» da chierichetto. La gente non sa il latino, quindi non può capire. Alla gente basta “assistere alla messa” e pregare come sa fare, con il rosario o le altre preghiere». In verità non si sarebbe nemmeno osato pensare il concetto di «assemblea», tanto meno ritenere che i fedeli, il popolo di Dio, potessero essere considerati il “soggetto” della celebrazione. Alla domenica, le Messe erano tre: alle 6 per le donne, che poi dovevano andare a casa a preparare il pranzo; alle 8 per i ragazzi, a cui seguiva l’ora di catechismo; alle 11 la “Messa granda”, soprattutto per gli uomini e i giovani. In quest’ultima, in particolare, vi erano i canti”
Infatti, le “cantorie” dei paesi eseguivano, in gregoriano, la “Missa de Angelis”. Alla “Messa granda” non mancava la predica, sempre adattata all’uditorio. Negli anni ’50 e ’60, la predicazione era un’opportunità per la difesa della Chiesa, per la lotta contro l’ateismo, il comunismo e il venir meno della rigorosa morale sessuale.
In verità, molti uomini durante la predica restavano fuori, formando capannelli. Allora il secerdote doveva uscire, per forzarli a entrare, prima che ci fosse l’offertorio, avvertendoli che, altrimenti, per loro la Messa non sarebbe stata valida. Quelli che entravano, uscivano di nuovo sul sagrato, dopo il Padre nostro, dicendo con sollievo: “È finita!”. E si lamentavano della predica borbottando. Era difficile collegare le parole del celebrante alla liturgia pronunciata in latino. Questa la verità!