Prostituzione: un colpo di piccone (1a parte)
E’ bastato, in Italia, un colpo di piccone alle case chiuse per far crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli, che queste tre istituzioni trovavano la loro più sicura garanzia”. Così scriveva Indro Montanelli, nel 1958, in “Addio Wanda”, il suo celebre libello contro la Legge Merlin, n. 75, che, a partire dal 20 febbraio di quell’anno, abolì le case di piacere (“È vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane”), ponendo fine ad un’epoca storica.
Certo, il percorso per arrivare alla legge non fu facile. L’iter legislativo durò circa dieci anni. Nel 1948, la parlamentare socialista Angelina “Lina”” Merlin (fu la prima donna a senatrice della Repubblica e colei che pretese, nell’articolo 3 della Costituzione, la dicitura: I cittadini sotto tutti uguali “senza distinzioni di sesso”) aveva presentato il suo disegno di legge, prima alla Camera e poi al Senato. Sostenne, con accanita forza: “Io voglio vivere in un Paese di gente libera: libera anche di prostituirsi, purtroppo. Ma libera”. Era, quella del 1948, un’Italia dove le donne avevano da poco conquistato il diritto di voto e il Ministro dell’Interno, Mario Scelba, aveva vietato l’uso del bikini nelle spiagge. La Merlin, fin dalla seconda metà degli anni ’40, aveva girato il Paese per visitare le case chiuse con la giornalista e amica Carla Barberis con la quale pubblicò, nel 1951, “Lettere dalle case chiuse”. Il progetto era arrivato sui banchi del Senato, per la prima volta, nel 1952, svanendo tra questi. Ripresentato nel 1953, costantemente caldeggiato e rivisitato, fu approvato dalla Camera dei Deputati il 29 gennaio 1958, con 385 voti favorevoli e 115 contrari (a favore DC, PCI, PSI, PRI, contrari il Partito Monarchico, MSI, PLI ed il Partito di Unità Socialista, che sottolinearono i pericoli igienico-sanitari del provvedimento).
Quella mattina la Merlin si fece fotografare mentre apriva le finestre di una casa chiusa. Nell’edizione serale del giornale radio, Ugo Zatterin annunciò l’evento senza mai pronunciare il nome di ciò che era stato abolito. Disse: “Oggi, poco prima che Togliatti aprisse con un discorso fiume un dibattito sulla politica estera, che terrà impegnata per alcuni giorni la Camera, i deputati hanno approvato (385 sì, 115 no) la famosa Legge Merlin. Finisce così, senza più possibilità d’appello, una questione decennale, apertasi esattamente nell’agosto del 1948. L’Italia era ormai l’unico paese d’Europa in cui il problema sollevato dalla Senatrice Merlin non fosse stato risolto e, anche di recente, l’ONU aveva sollecitato l’Italia perché lo risolvesse, dato che il suo statuto impone a tutti i paesi membri di adottare una soluzione come quella che è stata finalmente adottata. La Legge Merlin prevede che le sue norme vengano applicate entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge stessa e, siccome la legge entra in vigore quindici giorni dopo essere stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, si può calcolare grosso modo che il nuovo corso incominci nel prossimo settembre. Insomma: il canto del cigno si avrà intorno a ferragosto. Dopo questa data gravissime pene penderanno sul capo di coloro che cercheranno di riorganizzare ciò che la Senatrice Merlin ha voluto distruggere. Le pene, dicevo, sono piuttosto grosse: carcere da due a sei anni, con molti motivi per raddoppiare il carcere e le multe (n.d.r.).”
Per capire ancora meglio quale era il clima dell’epoca, si riporta qui una delle prime discussioni sulla legge. Era il 16 febbraio del 1949 quando il socialdemocratico Gaetano Pieraccini, uno dei più agguerriti avversari della Merlin, disse: “.Vi voglio, a questo proposito, Onorevoli Senatori, ricordare l’esperienza fatta da una Nobile signora di Perugia che, a Firenze, aprì una casa di rieducazione per coloro che volevano lasciare una vita di vergogna. La signora Angela Marlucchi, questo è il suo nome, osservava come “fosse più facile portare sulla retta via una donna uscita dal carcere, che non una uscita dal postribolo. Infatti questo tipo di donne è, costituzionalmente, o una minorata mentale o un’amorale. Le statistiche parlano chiaro. Tutti i tentativi di rieducazione hanno dimostrato che solo il 20%, o al massimo il 21%, possono riabilitarsi. Senatrice Merlin, ella ha parlato di cento sedute d’amore al giorno, per ogni donna di postribolo: ciò non è possibile, è una esagerazione perché se si realizzassero cento coiti al giorno, calcolando solo quindici minuti per ciascuna seduta, cento sedute richiederebbero venticinque ore! Quelle donne non possono uscire dalla casa altro che per andare a messa (sempre se a qualcuna di costoro ciò piace) oppure per andare a visitare qualche loro parente o qualche loro figlio; in questi casi, sempre accompagnate da un uomo della squadra del buon costume. La Merlin lo interruppe: “Le donne escono dalle case, non per andare a messa, ma per andare a farsi le iniezioni antiveneree, che i medici privati fanno pagar loro mille lire l’una”. Pieraccini continuò: “Nel postribolo la scostumatezza è sottratta agli occhi del pubblico. Le anguille quando entrano in amore fanno un lunghissimo viaggio, di migliaia di chilometri; vanno tutte quante a trovare il loro letto di nozze. Consideri, Senatrice, quanto è potente lo stimolo sessuale.”
La Merlin si esprimeva così, nella seduta del 12 ottobre 1949: “I clienti sono spesso uomini corrotti, sposati e non scapoli soltanto. Sono altresì studenti, operai e soldati, che vengono condotti, per la prima volta, nel lupanare per soddisfare una curiosità. Non resterebbero certamente casti senza la regolamentazione, ma neppure cederebbero ai primi stimoli della passione, quando ancora non hanno le ossa ben formate. Ma ciò avverrebbe più tardi, con un atto normale e sano”.
La Legge Merlin abrogava le disposizioni emanate dal governo Crispi, nel dicembre 1883 e puniva il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Non configurava, però, il meretricio come reato e, di conseguenza, chi lo esercitava non poteva essere schedato, nemmeno a livello sanitario. Con l’approvazione del provvedimento, i postriboli vennero riconvertiti in fondazioni di speciali istituti di patronato, luoghi di assistenza e rieducazione delle cosiddette “donne uscenti”.
Nei primi articoli la legge vietava l’esercizio delle case di prostituzione nel territorio dello Stato e disponeva la chiusura dei “locali di meretricio”. Le case, i quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercita la prostituzione, dichiarati locali di meretricio, ai sensi dell’art. 190 del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con Regio Decreto, 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni, dovranno essere chiusi entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge”.
La parte centrale apportò delle modifiche al Codice Penale allora in vigore, relativamente ai delitti di lenocinio, ovvero lo sfruttamento della prostituzione, “con la reclusione, da due a sei anni, per chi avesse continuato a possedere e dare in affitto locali in cui si esercitasse la prostituzione”.
Gli ultimi articoli contenevano invece disposizioni di carattere amministrativo. Inoltre, per la prima volta, grazie alla legge, veniva costituito in Italia un Corpo Speciale di Polizia Femminile. Secondo Lina Merlin, una legge di questo tipo si era resa necessaria perché la prostituzione, anche volontaria, era dannosa per la dignità della donna. La Prima Commissione del Senato approvò la legge all’unanimità. Lina Merlin scoppiò in lacrime. Disse che quello era il più bel giorno della sua vita e la sera festeggiò con un’amica, in una modesta pizzeria, come riportato da “La Stampa” di Torino, del 22 gennaio 1955.