La radice di Halloween è nella religiosità popolare del Sud Italia

Da un paio di decenni i giorni dell’anno che s’apprestano a venire, dedicati alla commemorazione dei Santi e dei defunti, registrano una polemica ripetuta ogni volta uguale tra chi si lascia volentieri coinvolgere nei festeggiamenti per Halloween e chi, ritenendo questa festa estranea alla nostra cultura, gioca in una partita che contrappone il paganesimo al cristiano.
La nostra cultura religiosa si è però da sempre mossa sul filo di questo confine che tra processioni, pellegrinaggi e falò, non è mai riuscito a separare nettamente il sacro dal profano, e se è vero che il consumismo e i seguaci dell’occulto si sono, in parte, appropriati di questa festa, è anche vero che le radici di Halloween sono chiaramente rintracciabili nelle tradizioni antichissime dei popoli del Sud Italia.
Luigi Lombardi Satriani, uno dei più autorevoli antropologi le cui tesi sono capaci d’influenzare il dibattito accademico internazionale e che ha indagato profondamente il folklore e la religiosità popolare, nel suo libro “Il Ponte di San Giacomo” scritto con Mariano Meligrana nel 1982, sostiene che la festa abbia compiuto un “viaggio di ritorno” in quanto derivata dalle tradizioni del Mezzogiorno contadino e di altri popoli nordeuropei (irlandesi e scozzesi) poi evolute, per reciproche contaminazioni sulla scia delle emigrazioni negli USA, nella forma con la quale si presentano oggi.
Della consuetudine per la vigilia del giorno dei morti di svuotare ed intagliare le zucche per farne delle lanterne spaventose, ne ho ricordi diretti di quando ero bambino, illuminavano le notti perlopiù dalle verande delle masserie nelle campagne dell’alto casertano, ma è stata una pratica che ha interessato tante comunità del Sud. A Orsara di Puglia nel foggiano (2.500 abitanti che negli anni ’60 erano il doppio) il primo di novembre le strade del paese vengono ornate con zucche che simboleggiano le anime, Cocce Priatorije, e si accendono falò, Fuoc Acost (dal greco akostòi, sparsi), per consolarle. In Calabria a Serra San Bruno (altro paese in contrazione demografica) è ancora viva l’antichissima tradizione del Coccalu d’u mortu che per i ragazzini del paese consiste nell’intagliare una zucca a mo’ di teschio e portarla in giro chiedendo: Mi lu pagati lu coccalu?. In molti posti dell’entroterra sardo, particolarmente in Ogliastra e nel Nuorese, i bambini vanno di casa in casa per chiedere di far del bene per le anime dei morti, dicono: Mi ddas fait is animeddas? (mi fa le piccole anime?), oppure Carchi cosa pro sas animas (qualcosa per le anime), gli adulti invece per far paura ai ragazzi gironzolano per le strade con lugubri zucche intagliate e illuminate. A Serramonacesca in provincia di Pescara la differenza con Halloween è solo nella risposta al “chi è?”, quando bussano alla porta, invece di “dolcetto o scherzetto” dicono l’anime de le morte.
E se i nostri ragazzi più che un’americanata stanno in maniera diversa perpetuando una memoria antichissima, vuol dire che non c’è nessuna guerra da combattere, ma solo tentativi di ricondurne il senso verso valori meno commerciali e più legati a una pratica del ricordo che renda ancora intenso il legame con chi (forse) non c’è più.

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