L’Altare di Sant’Ambrogio
L’Arcivescovo di Milano Angilberto II guidò l’arcidiocesi della Città ambrosiana dall’anno 824 fino al 13 dicembre 859, giorno del suo ritorno alla Casa del Padre. L’alto prelato supportò il governo di Ludovico II il Giovane, Imperatore carolingio, Re d’Italia e Re di Provenza, ed esercitò un deciso influsso sulla politica maiestatica interna a beneficio dell’episcopio milanese e del milieu lombardo. Il porporato fece dono alla Basilica meneghina di Sant’Ambrogio dell’Altare Maggiore, una splendida ara in nobile metallo aureo e argento, legni pregiati, smalti e gemme, commissionando il lavoro al Magister phaber Volvinius, un cenobita esperto nell’arte orafa. Volvinio firmò la parte retrostante della sacra Mensa, e gli esperti pensano che la porzione frontale, con tratti stilistici dissimili, sia stata realizzata da artieri da lui diretti: la facciata retrostante è tripartita come il prospetto, ma la caratteristica apertura centrale della fenestella confessionis presenta ben quattro imagines clipeatae, ovvero quattro immagini o gruppi di figure delimitati da un frame di forma circolare. L’apertura è serrata da un’anta con su inciso San Michele Arcangelo racchiuso in una formella tonda, e un’altra cornice orbicolare sottostante racchiude l’icona di Sant’Ambrogio di Treviri mentre consacra e magnifica Angilberto II ponendogli una corona sul capo. L’altro battente presenta un rilievo circolare con l’incisione a sbalzo di San Gabriele Arcangelo, e sotto un altro disegno decorativo sferico con l’immagine del Santo di Augusta Treverorum mentre incorona l’artista Vuolvino. Dodici eccellenti esempi d’arte orafa carolingia in cornici quadrate ripropongono testimonianze agiografiche del Santo patrono di Milano: in esse elementi della vita privata e tematiche concettuali si fondono in un unicum artistico dove note latine in forma didascalica ne illustrano l’azione scenica. La parte antistante dell’Altare presenta un’imago clipeata con l’iconografia di Gesù Onnipotente sul seggio cerimoniale mentre benedice con la mano destra: la formella del Cristo Pantocratore sul trono è contenuta in una Croce greca, che, nelle braccia, mostra le quattro icone del tetramorfo, cioè l’emblema dell’uomo alato di San Matteo di Cafarnao, l’immagine del leone di San Marco evangelista, il simbolo del bue di San Luca di Antiochia di Siria e l’effige dell’aquila di San Giovanni di Betsaida. I dodici Apostoli del Salvatore vengono suddivisi in una quadruplice ripartizione a completamento della lastra anteriore che ospita il Crocifisso. Le due piastre che completano la prospettiva frontale palesano una doppia esaripartizione sulla vita del Redentore. Lateralmente vengono realizzati disegni simmetrici e armoniosi, dove le linee regolari di otto triangoli fanno da cornice ad altrettante creature celesti, e, nel mentre, compongono un rombo che a sua volta circoscrive una Croce con affrancature di pietre preziose. Le imagines clipeatae compaiono quattro volte all’interno della losanga: in esse, e al di fuori delle stesse, le incisioni di Santi venerati della Chiesa cattolica. La tecnica utilizzata dai Maestri d’Arte è quella dello “sbalzo”: le cornici, inoltre, presentano pietre preziose, lavori di alta oreficeria in filigrana e in “lustro di Bisanzio”, cioè intreccio di filamenti metallici d’oro e ornamenti in smalto che ricordano le splendide composizioni dell’arte musiva.