Un Muro lungo 28 anni
Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro. Quasi 30 anni avevano atteso milioni di persone prima di riversarsi a Berlino e festeggiare il crollo della cortina di ferro che contrapponeva due blocchi geo-politici opposti. Cemento e filo spinato, legami di sangue e vincoli di amicizia spezzati per 28 lunghi anni, vite separate per tanti giorni della nostra storia. Una folla esultante che ha segnato la fine di un’era, ma non la fine dei muri. 6000 sono i chilometri di barriere, ha affermato Tim Marshall, innalzati negli ultimi dieci anni nel mondo: tra Botswana e Zimbabwe, tra Grecia e Macedonia, tra Arabia Saudita e Yemen, tra Stati Uniti e Messico, tra Serbia e Ungheria; nella stessa Europa sbarramenti e confini imprigionano il pensiero degli uomini. Ci si rende conto quotidianamente dell’avvento inarrestabile e preponderante del cemento ideologico. Concetti quali razionalità, dialettica, oggettività, valore, sono ormai parole svuotate di significato. Gli “ismi” sembrano ormai rappresentare la malta che sorregge e favorisce la tenuta dei mattoni dell’intolleranza e della divisione. Una calcificazione dell’idea di libertà che alimenta sempre più la rinascita di sentimenti sovranisti e nazionalisti. Una drammatica tendenza che sta cancellando l’idea cartesiana della libertà, intesa non come un puro e semplice «libero arbitrio d’indifferenza», ma come impegnativa e concreta scelta di cercare la verità tramite il dubbio, e il principio kantiano dell’uomo che nel suo comportamento morale si sente responsabile delle sue azioni. Che l’uomo abbia perso la sua libertà di scelta? Esiste ancora la possibilità di compiere un’inversione di tendenza? Si può ancora contrastare la negazione del pensiero? Siamo sicuramente in grado di rigenerare il pensiero critico per comprendere le motivazioni di ciò che accade e porre in essere strumenti atti ad impedire l’indifferenza e l’intolleranza. Basterebbe seguire, come affermava Parmenide, non la doxa, illusoria e ingannevole, ferma all’apparenza delle cose che ci rende servi delle ideologie, ma la via della verità, l’aletheia, che ci fa guardare le cose con “l’occhio della mente” verificandone l’autenticità. Solo in tal modo potrà esserci forse una nuova ontologia, un nuovo inizio, da cui far scaturire un nuovo modo di concepire l’esistenza umana e il suo ruolo nel mondo.