“Il dolore di Giobbe” di Mons. Giuseppe Leone

Nella prima decade del ventunesimo secolo, 7 settembre 2005, Mons. Giuseppe Leone è alla guida della parrocchia “Santi Cosma e Damiano” di Teano (dal 2016 è alla guida della parrocchia di San Paride di Teano Scalo e cura anche la Basilica di San Paride ad Fontem – XI secolo -) e scrive il saggio “Il dolore di Giobbe” nel quale esprime delle personali e interessanti riflessioni e considerazioni sul “dolore” e prende come punto di riferimento il personaggio biblico “Giobbe”, vissuto nel V secolo a.C.
A distanza di 15 anni dalla pubblicazione del saggio si ritiene opportuno e doveroso riprenderlo per le tematiche e le problematiche che affronta, propone ed esamina in quanto le predette oggi sono più attuali che mai. Mons. Leone testualmente scrive “L’originalità del libro di Giobbe risulta dal fatto che non chiude gli occhi di fronte alla realtà di lacrime e di miseria dell’uomo ma neppure si rassegna all’idea di un Dio che risolve tutto con un gioco di caleidoscopio (…). Il dolore e la sofferenza, nel mare di una realtà a volte contraddittoria e altre volte superba, non sono un isolotto refrattario al senso del tutto, sono da collocare in una realtà più grande (…). Esistono alcune leggi universali che, nonostante tutto lo sforzo umano, non si possono cambiare, semplicemente perché non sono state fissate dall’uomo. Sono le regole che riguardano la natura: la vita e la morte, la legge di gravità, i fenomeni meteorologici, ecc. In queste leggi l’esperienza del dolore segna molti momenti della vita. Si potrà essere più o meno sensibili al dolore, ma non si può immaginare di trascorrere una vita al riparo di questa realtà, in qualcuna delle sue forme fisiche o morali o psicologiche. Realtà pesante e alle volte capace di minare l’equilibrio di una persona (…). Perdere qualcosa, soprattutto perdere qualcuno, e dover rielaborare il lutto, cioè integrare questa esperienza dolorosa nella vita, darle un senso, non permetterle che ci faccia troppo male, è per tutti un passaggio obbligato, una esperienza che accompagna tutte le diverse tappe della crescita dell’uomo. E’ proprio in questo passaggio che la nostra vita vacilla. Ma fare fatica a credere non è un segnale di poca buona volontà o di poco impegno, è solo la prova che apparteniamo al genere umano e non alla categoria degli angeli. Se l’amore e la fede fossero fatte solo di luce e di certezze, sarebbero esperienze uguali e ripetute per ogni essere umano; così, invece, hanno il sapore e il colore della personalità di ciascuno”.
Mons. Leone, con una sintesi efficace, riesce nel suo saggio, racchiuso in poche pagine, a compendiare i 42 capitoli del libro di “Giobbe”, peraltro estremamente molto difficili nello svolgimento e nella logica che vi si trova. Questi capitoli, molto complessi e problematici, per la tematica difficile che affrontano, in qualche modo senza soluzione, evidenziano, in modo inconfutabile, la sofferenza dell’innocente che appare sempre assolutamente inadeguata ma Giobbe nell’affrontarla si pone la domanda terribile su cosa fa Dio davanti ad essa e al dolore dell’innocente. Giobbe è un uomo buono e benedetto e in questa situazione viene colpito da prove e disgrazie che arrivano a toccargli la vita ma egli è un grande non perché soffre ma per il modo in cui soffre, non perché viene tentato dal demonio ma per il modo in cui affronta la tentazione. Rimane sempre a testa alta durante la bufera di tragedie che è stata scatenata contro di lui e si rifiuta di maledire Dio. Non pecca con la sua bocca e come ha accolto il bene che il cielo gli dona, accetta anche il male che il cielo permette. Tale condotta davvero eroica fa sì che viene ricolmato di ogni benedizione quando il momento della prova si conclude.
Mons. Leone, nella parte conclusiva del saggio, si chiede come valutare “il silenzio di Dio” davanti a tanti crimini, a tanto dolore, alla sofferenza per noi incomprensibile? e si dà la seguente risposta “La teologia dopo Auschwitz afferma che Dio non permette il male, ma – essendo un Dio crocifisso – soffre con l’uomo che soffre ed è vittima della malvagità (J. Moltmann)” e conclude il saggio scrivendo “L’intero libro di Giobbe si potrebbe riassumere compendiandolo nel famoso graffito di Colonia, dove avevano trovato rifugio per tutta la seconda guerra mondiale alcuni ebrei, e che testimonia in modo esemplare una fede che, sebbene messa a dura prova dall’olocausto, trova la forza (o la follia, secondo taluni) di non deflettere: credo nel sole anche quando non splende, credo nell’amore anche quando non lo sento, credo in Dio anche quando tace”.

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