Ceccano: uno dei volti più belli della verace Ciociaria
La bella Italia dei mille volti, delle torri, dei castelli, dei mari e dei borghi storici, nonostante le sue fragilità evidenziate da “disastri” umani e “calamità” naturali, come purtroppo avvenuto anche in queste ore con il terremoto del Mugello, è spesso nascosta nelle cittadine più distanti dal chiassoso mondo metropolitano, pronta ad abbracciarci con colori e paesaggi di ordinaria bellezza a due passi dall’esasperante stress quotidiano.
Ceccano, in piena Ciociaria, nel Lazio verace e ruvido dei film di Corbucci, Monicelli e De Sica, rappresenta un pezzo di quella immensa bellezza in cui abbiamo la sfacciata fortuna di vivere. Oggi sarà Andrea Selvini, attivissimo Presidente dell’Associazione culturale Cultores Artum, fondata nel 2012 al termine di un progetto di Servizio Civile denominato “Città Nuova”, con la quale si promuovono costantemente rispetto per il territorio, accoglienza turistica e ricerca storica, ad accompagnarci in questo famoso angolo del frusinate.
Andrea, saresti così gentile da riassumere la storia della tua città?
[A. SELVINI] La mia città ha origini antichissime. Si chiamava Fabrateria quando venne fondata dai Volsci, un valoroso popolo preromano conosciuto per le gesta della regina Camilla, citata addirittura nell’Eneide da Virgilio.
Durante il periodo romano la città si sviluppò a valle, lungo le fondamentali vie di comunicazione del basso Lazio e divenne un importante Municipium. Dopo la caduta dell’Impero, la popolazione si trasferì progressivamente sulla collina, rifugiandosi in un insediamento protetto da mura fortificate. L’epoca medievale fu il periodo d’oro di Ceccano; con la famiglia dei conti di Ceccano divenne la capitale di uno Stato autonomo, la Contea di Ceccano, che comprendeva ben 15 feudi e si estendeva tra l’area meridionale dei Monti Lepini e la Valle dell’Amaseno. La famiglia rimase senza eredi maschi e si estinse nel corso del XV secolo, così ben presto agli antichi feudatari subentrarono gli ancor più noti Caetani ed in seguito i Colonna, che tennero il feudo fino al 1816. Alla fine dell’ottocento vi fu lo sviluppo industriale che, insieme alla realizzazione della stazione ferroviaria, ne cambiò i connotati urbanistici, fino ad allora legati al solo centro d’origine medievale sulla collina. Durante la Seconda Guerra Mondiale Ceccano si ritrovò al centro delle attenzioni belliche e venne colpita da numerosi bombardamenti, sia per la posizione viaria strategica sia per la vicinanza con il fronte di Cassino. Nel dopoguerra l’economia e lo sviluppo industriale sostituirono via via l’antica tradizione agricola e pastorale, ma oggi, dopo la massacrante crisi economica del nuovo millennio, si punta molto sul turismo enogastronomico e culturale per assicurare il futuro a questo luogo pieno di bellezza e laboriosità.
Ceccano è ben rappresentata dal suo monumento più evidente, il Castello medievale passato da fortezza a carcere fino a bene turistico. Come nasce questo straordinario maniero e che ruolo ha avuto nello sviluppo della comunità cittadina?
[A. SELVINI] Il Castello è il monumento principale di Ceccano. Domina l’abitato e buona parte dei dintorni dal suo poggio di calcare, come un rapace pronto all’attacco. La nostra fortezza venne realizzata a partire dall’XI secolo sul punto più alto del colle, anche se alcuni storici sostengono che possa anche essere antecedente al IX secolo. Con l’avvento dei conti di Ceccano divenne il luogo del potere, dove venivano amministrate le terre ed i possedimenti e dove venivano ospitati papi ed imperatori. In questo periodo vennero realizzati i bellissimi e rari affreschi che rappresentano il ciclo dei mesi dell’anno che si possono ammirare ancora oggi in una delle sale nobili del primo piano. Con la scomparsa dell’ultimo erede dei de Ceccano ed il passaggio alle varie famiglie nobili, ultima delle quali la famiglia dei prìncipi Colonna di Roma, venne convertito in un carcere e modificato per essere adeguato alla nuova funzione. Di questo periodo ci restano i numerosi graffiti – presenti anche nelle sale non restaurate – ed alcuni dipinti a tema sacro realizzati dai detenuti. I Colonna tennero i loro feudi, castello compreso, fino al 1816. Verso la fine dell’800 comprò la struttura il Marchese Filippo Berardi, nobile ceccanese che diede un impulso di modernità alla cittadina con lo sviluppo della zona industriale, ed in questo periodo ci fu un restauro con delle eleganti forme neogotiche. Il carcere rimase in funzione fino al 1973, quando venne chiuso a causa di uno scandalo. Il Castello è stato acquistato dall’Amministrazione Comunale alla fine degli anni ’90 ed in parte restaurato. Dal 2012 con la mia associazione ci occupiamo del castello e lo promuoviamo in ogni modo insieme al resto del territorio. Abbiamo cominciato con 500 presenze visite che, oggi, hanno raggiunto il già ragguardevole numero di 2000 all’anno.
Andrea, raccontaci dell’associazione e del tuo impegno per promuovere il bellissimo territorio di Ceccano.
[A. SELVINI] L’associazione l’ho creata nel 2012, al termine di una bellissima esperienza di Servizio Civile Nazionale che mi ha arricchito molto. Ho creato l’associazione assieme ad alcuni degli ex volontari con una voglia di riscatto per la mia città. Da allora si sono aggiunte altre persone e validi collaboratori con cui si condivide il progetto di Cultores: essere parte attiva per il rilancio della città. Nello specifico ci occupiamo di ricerca storica e di promozione culturale e turistica di Ceccano e di quelle cittadine che nel Medioevo erano suo feudo. Il nostro sogno, ovvero creare un circuito turistico simile a quello del Chianti e ad altri blasonati luoghi d’Italia, prende sempre più vita, anno dopo anno. Il Castello dei conti, grazie al nostro impegno giornaliero, ha visto quadruplicate negli anni le presenze turistiche, come ha visto numerose recensioni positive su Trip Advisor e sulle numerose piattaforme sociali dove lo abbiamo “promozionato”. E proprio i social sono un grande strumento di conoscenza e divulgazione se usati in modo corretto, quindi evitando di scaricare odio e polemiche come invece troppo spesso sta ultimamente avvenendo nel nostro Paese.
La Ciociaria e Ceccano sono sempre state aree fortemente permeate dalla religione. Le chiese qui sono straordinariamente belle anche se la Seconda guerra mondiale le ha ferite e distrutte almeno in parte.
[A. SELVINI] Oltre al castello, ci sono anche le chiese ovviamente, preziose testimonianze di arte e fede. Dal Castello dei conti ci si affaccia sulla Collegiata, dedicata a San Giovanni Battista, la più antica di tutte le chiese locali a dispetto delle sue forme barocche. E’ l’unico edificio sacro che conserva intatti i suoi affreschi medievali, soprattutto perché durante la guerra non fu fortunatamente colpita. Durante i secoli ha avuto dei pesanti rimaneggiamenti che ne hanno vista orientata la facciata per ben tre volte! La Chiesa di San Nicola, monumento di interesse nazionale, si trova oggi a pochi passi dalla centralissima Piazza XXV Luglio, ma un tempo si trovava fuori le mura e per questo esposta a maggiori danni. Venne infatti restaurata per opera dei cistercensi tra il XII e il XIII secolo e conserva un pregevole portale, da poco restaurato. Questa chiesa subì alcuni danni nella parte alta del campanile e nel tetto del transetto, ed è ancora oggi visibile nella sagrestia un grande frammento della bomba. Sulla parte opposta, invece, sorgeva la chiesa di San Pietro Apostolo, di origine medievale e a ridosso proprio delle più antiche mura medievali. Questa zona del centro subì ingenti danni durante i bombardamenti e in buona parte non venne più ricostruita. Questa chiesa ed il suo rione sono quindi i nostri “Caduti di pietra”, come evidenziato della sua apprezzata trilogia sulla Seconda guerra mondiale (si riferisce alla mia trilogia – per info consultare www.icadutidipietra.com), luoghi un tempo centrali nella vita del borgo ma poi distrutti, abbandonati, trasformati in “periferia”. E poi c’è Santa Maria a Fiume e quel tragico 26 gennaio 1944.
Andrea, tu sai che mi occupo da anni di beni culturali coinvolti nel tragico secondo conflitto mondiale. La storia di S. Maria a Fiume è per me di grande interesse. Raccontaci più dettagliatamente ciò che accadde a questa stupenda chiesa della Ceccano medievale.
[A. SELVINI] Santa Maria a Fiume, luogo di pace per secoli, fuori dal borgo, lungo il fiume ed immersa in una atmosfera agreste, venne brutalmente aggredita il 26 gennaio 1944 dalle bombe americane. In pochi istanti quella visione di pace e tranquillità, di quella piccola chiesa immersa nel verde, divenne una macabra visione di polvere e un ammasso di rocce. La chiesa tanto cara ai ceccanesi e a buona parte dei fedeli del centro Italia, in pochi istanti venne rasa al suolo. Rimasero in piedi per metà le colonne del corpo di fabbrica con al centro le macerie e la statua della Vergine, pregevole opera d’arte medievale, intatta, con il manto appena bruciacchiato ed una scheggia di bomba conficcata all’altezza del cuore, quasi a simboleggiare che il popolo ceccanese fosse stato colpito al cuore. Per fortuna e grazie all’impegno di alcune persone e dei molti fedeli, la chiesa venne poi ricostruita com’era e dov’era con i materiali ricavati dalle macerie e riaperta al culto nel 1958. Degli affreschi medievali del tempio, attribuiti da alcuni studiosi alla scuola di Giotto, non ci restano oggi che immagini in bianco e nero da ammirare con un pizzico di tristezza e di nostalgia. Per fortuna il pulpito, l’acquasantiera e le numerosissime epigrafi romane usate come reimpiego nella costruzione della chiesa nel XII secolo, sono state poco danneggiate e sono ancora visibili. Queste ci parlano della città romana, Fabrateria Vetus, che sorgeva attorno all’area di Santa Maria a Fiume.
Ringrazio Andrea per avermi portato in giro a visitare la Ceccano storica, sopportando la mia intrusiva presenza giornalistica e le necessarie registrazioni per mostrarvi, a breve, un piccolo video servizio su questo magnifico scorcio d’Italia. Restate in contatto e pronti a godervi le stupende sequenze di questa passeggiata tra le vie di un borgo pacifico e ameno di quell’Italia che ci piace.