Il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni
Tra gli artisti più prolifici alla Corte della Signoria cittadina di Firenze di Lorenzo il Magnifico, raffinato mecenate dell’aristocratica stirpe dei de’ Medici, va citato il nome dello scultore Andrea di Cione, detto il Verrocchio. Fu uno dei Maestri d’Arte più rinomati del Rinascimento della “Città del Giglio” e il suo atelier fu frequentato dall’intelligencija artistica dell’epoca: basti citare i nomi di alcuni degli artieri della bottega come il genio universale del “Divin pittore” di Città della Pieve, del talento enciclopedico di Leonardo, del genio poliedrico del Ghirlandaio. Le opere del Verrocchio sono oggi conservate nei Musei dei quattro angoli del pianeta: a titolo d’esempio si ricorda che la National Gallery di Londra conserva la splendida tempera su tavola della “Madonna del latte” che vede la Vergine Maria raffigurata in un superbo “hortus conclusus”, il Louvre de “La ville lumière” custodisce il disegno a penna e fuliggine stemperata di “Cinque putti che giocano”, mentre la Gemäldegalerie dei Musei statali di Berlino conserva lo straordinario dipinto della “Madonna col Bambino”. Nel Campo “Santi Giovanni e Paolo” del sestiere di Castello della “Dominante”, campeggia una statua equestre del nobile solzese Bartolomeo Colleoni, Capitano Generale dell’Esercito della Serenissima del XV secolo e condottiero di compagnia di ventura. La realizzazione della statua iniziò a Firenze nel 1480 con uno studio preparatorio che durò un anno e terminò con la creazione di un modello ceride, ma la dipartita dello scultore toscano avvenuta nel 1488 cambiò il destino dell’opera. Il pittore Lorenzo d’Andrea d’Oderigo, conosciuto come Lorenzo di Credi, era l’epigono designato dal Verrocchio, ma il veneto Alessandro del Cavallo, al secolo Leopardi, fu incaricato di completare l’opera dal Governo della città lagunare. Numerosi i modelli di riferimento dai quali il Verrocchio trasse ispirazione: i monumenti equestri della Città Eterna, la fusione a cera persa del Regisole pavese demolita alla fine del XVIII secolo per ragioni politiche, la statua donatelliana del condottiero Erasmo Stefano da Narni, l’affresco di John Hawkwood della “Compagnia Bianca del Falco” dipinto dal pratovecchino Uccello. Al Verrocchio va il merito di aver realizzato un’opera di grande pregio statico e d’equilibrio, unito ad un’elegante plasticità estetica: il peso del destriero grava su tre arti perché la zampa anteriore sinistra è sollevata per dare al corsiero allure maiestatica e nobile plasticità. Il Signore di Antegnate, a differenza del Gattamelata bardiano, è raffigurato altero, consapevole della propria autorità, e con gli occhi rivolti verso l’apparente antagonista: è seduto sulla sella in posizione avanzata, lievemente flessa e con un evidente sforzo di torsione, quasi a voler dimostrare la sua voglia di combattere, mentre le mani reggono le briglie e il bastone di comando. Il nobile lombardo indossa una pregevole armatura ed un cimiero decorato che fanno pendant con i finimenti difensivi del cavallo e con la sella d’arme, inoltre, dall’anatomia umana alla morfologia animale, ogni minimo particolare è studiato con perfezione rigorosa e sistematica.