Quell’agosto del ’42
Perché evidenziare proprio il mese di agosto del 1942? Perché fu quello un periodo ricco di avvenimenti che consentirono agli italiani di essere, in un certo qual modo, ancora fiduciosi che le cose sarebbero tornate presto alla normalità.
Le città si erano adattate alla guerra, con subcosciente pacata rassegnazione, tollerando dignitosamente la scarsezza di lavoro, una circolazione sempre più difficile su mezzi di trasporto sempre più disastrati e sopportando le continue incognite degli allarmi aerei, le notti passate nel dormiveglia dei ricoveri, la ricerca continua del cibo, l’angoscia nel pensare ai propri cari, partiti per fronti lontani e sconosciuti. Questo era l’opprimente alone che ricopriva tutto e tutti, in una routine senza squarci di luce, sulla quale si arabescavano le cose del quotidiano, le altalenanti notizie sull’andamento dello ostilità, le ulteriori proibizioni e le nuove “invenzioni”, che invitavano a sorridere e forse a campare meno peggio, se mai fosse stato possibile.
Fu nel mese di agosto che a Roma comparvero i primi taxi mossi a pedali. Erano curiosi trabiccoli, tricicli con un cassone anteriore, dove era stato collocato un seggiolino per far sedere uno o due passeggeri. L’autista doveva pedalare con tutte la proprie energie, aiutato (molto poco!), nelle salite, da un piccolo motore elettrico. Per i trasportati, facce da patibolo, specialmente in curva o al sussulto per una buca.
Ci fu anche tempo anche per l’amministrazione normale. In Lombardia venne varato il nuovo piano regolatore che riguardava la media valle del Seveso. La notizia che interessò di più i milanesi, fu il nuovo orario della distribuzione del gas. Così come altre che innescarono, ad esempio, i commenti più disparati sull’incomprensibile abbandono di un quintale di olio d’oliva purissimo, sotto i sedili del treno Roma-Torino. Oppure della perpetua torinese, già madre di dodici figli, che aveva dato alla luce tre gemelle, coinvolgendo l’opinione pubblica nell’interrogativo allarmante sul “come avrebbero fatto a sfamarli tutti?”. E pensare che solo qualche anno prima, quell’evento sarebbe stato acclamato e portato ad esempio dai propagandisti delle campagne demografiche.
Anche a Milano arrivarono i taxi a pedale ma, nonostante fosse una metropoli pianeggiante, i poveri “tassisti” non ebbero vita facile: pedalare era, anche nella città meneghina, ugualmente faticoso. A Pistoia, un uomo che entrò in un orticello per rubare patate, fu accolto da una scarica di pallini. I proprietari difendevano i loro metri quadrati di terreno seminato con le armi in pugno e, nelle zone più frequentata dai predatori, furono organizzate pattuglie che vigilavano giorno e notte. Patate e cavoli erano diventati prodotti assai preziosi!
Ma del resto, cosa non era prezioso in quella terza estate di guerra? C’erano interminabili code davanti ai magazzini dove erano in distribuzione gomme per biciclette. I vecchi copertoni rappezzati cento volte, ad ogni rimbalzo, mettevano a nudo l’anima rossastra delle camere d’aria che, espandendosi a cipolla, scoppiavano inevitabilmente. Si incontravano dovunque uomini seduti a terra, accanto alla propria bici capovolta, intenti a trafficare con mastice e carta-vetrata, custoditi nell’apposito borsellino, appeso dietro il sellino di ogni bicicletta.
“Non siamo mai stati così poveri”, ci si lamentava, borbottando o imprecando. Sui quotidiani, apparivano inserzioni pubblicitarie di questo tipo: “Laboratorio specializzato – Senza punti: rivoltate i vostri abiti e paletò”. Lo facevano già le donne in casa. Rivoltavano giacche e rammendavano pantaloni, fino a quando il filo riusciva a trovare dello spazio ancora libero sulla stoffa, con pezze di colori diversi negli abiti da lavoro e con rammendi più o meno invisibili su quelli più eleganti. Poveri scopertamente, disperatamente, nel vestire, nel modo di muoversi e nel modo di conversare, senza slanci, nei corpi scarnificati da feroci astinenze.
Ogni giorno, poi, veniva emanato un nuovo divieto: “E’ severamente vietato fabbricare Vermut, Marsala, Vini e Spumanti”. Non rimaneva che consolarsi riflettendo sulle difficoltà altrui. Sugli inglesi, ad esempio, che dovevano rinunciare ai loro “cinque pasti” e che erano alle prese con le ribellioni, anche piuttosto sanguinarie, nelle colonie indiane.
E le ribellioni incominciarono a dilagare anche nelle province italiane. Dal titolo di un giornale: “L’eroica morte del giovane fascista Giovanni Renzi, a Fiume”. Renzi era un civile, un insegnante in una piccola scuola elementare. Lo prelevarono, una sera all’uscita di un bar, alcuni uomini armati. Condotto sulle montagne vicine, fu brutalmente ucciso. Si trattò di un sintomo preoccupante. A Roma, a Genova e a Milano il fatto venne appreso senza grosse emozioni, perché la morte di innocenti, in quella guerra, era diventata un evento normale, soprattutto nelle grandi città. Situazione analoga, nelle aree di confine, dove atti di guerriglia erano diventati una realtà quotidiana che lasciava sul terreno decine e decine di morti. “Non ci vogliono, ci sparano addosso!”, gridava chi non sopportava di non essere italiano fino in fondo. Eppure, sembrava che le cose andassero alla grande. Le nostre truppe e quelle tedesche erano “baciate in fronte” dai successi. I “MAS” della “Colonna Moccagatta”, sul Mar Nero, avevano affondato un incrociatore inglese, davanti a Sebastopoli, in Crimea. I “crucchi” avanzavano a gran velocità, in terra di Russia. In Africa Settentrionale, le divisioni italo-tedesche erano a pochi chilometri da Alessandria. Lungo le coste del Pacifico, i giapponesi alzavano, ovunque, bandiere del “sol levante”, dominando i cieli con gli invincibili caccia “Zero”. L’Aviazione dell’Asse, non fu certamente da meno sul Mediterraneo, dove il Capitano Pilota Carlo Emanuele Buscaglia, con il suo aerosilurante S79 (macchine da guerra perfette, che gli inglesi chiamavano “i gobbi”, per la protuberanza sul retro della carlinga), fece il suo “ventiquattresimo” centro, contro una corazzata britannica.
Nell’intimità delle loro case, le famiglie più abbienti ascoltavano, con attonito silenzio, la famosissima “Radio Londra”. La propaganda nemica era sottile, martellante, ossessiva e si basava su fatti concreti. La fame, i ragazzi che morivano lontani da casa, le intimidazioni e le drammatiche prospettive sul futuro, immobilizzavano le menti. Oltre a tutto, non esisteva, purtroppo, una vera unità popolare, una parità nei sacrifici, un ideale comune. La compattezza era solo apparente. Il tessuto sociale e politico del Paese era come quei vecchi panni rammendati, pronto a squarciarsi al primo brusco movimento. Così, quando i bollettini di guerra, a fine agosto, diedero la notizia di un gigantesco scontro aeronavale nel Mediterraneo e parlarono di un convoglio inglese diretto a Malta, intercettato e decimato, le cifre che contarono realmente, per l’opinione pubblica, furono solo quelle diramate da “Radio Londra”. I titoli dei giornali nazionali furono trionfali: “Due portaerei danneggiate ed una affondata, così come tre incrociatori e sei piroscafi; una petroliera in fiamme. Due sommergibili dispersi. Perdite lievi”. Comunque i resti di quel convoglio arrivarono ugualmente a Malta. L’isola martoriata ricevette quegli aiuti che aspettava ed avrebbe potuto resistere ancora. Radio Londra lo disse con campanilistica spavalderia: “Questa sera a Malta , i forni cuociono pane bianco”.
Improvvisamente l’interesse dei tedeschi per il fallito sbarco britannico del mese prima a Dieppe, in Alta Normandia, si ridestò. I giornali del 20 agosto 1942 dissero: “Catastrofico il fallimento dello sbarco”. Evidentemente, dopo gli interrogatori, l’esame dei materiali e delle armi catturate, le ulteriori informazioni dei servizi segreti, lo Stato Maggiore tedesco capì che si trattò di qualcosa di più complesso di una semplice azione di disturbo, effettuata da una pattuglia di “commandos”.
Dunque, quei resti britannici “moribondi”, avevano ancora voglia di reagire. Erano informazioni che si dovevano interpretare leggendo fra le righe. Come quella che fotografava la situazione del Corpo di Spedizione in Russia: “L’Armata italiana sul Don stronca tutti gli attacchi nemici”. Ma non erano gli italiani ad attaccare?
Il 24 agosto, nella piana di Isbucenskij, il Reggimento “Savoia Cavalleria” andò all’attacco con la sciabola sguainata contro i carri armati sovietici. Fu un’ecatombe annunciata, trasfigurata solo dall’esaltante romanticismo della leggendaria ”ultima carica” (anche se la cronologia storica, attribuisce ai “Cavalleggieri di Alessandria” l’aver “caricato” per l’ultima volta, a Poloij in Croazia, il 17 ottobre di quello stesso anno, contro le efferate truppe titine).
Il mese di agosto 1942, si chiuse, comunque, all’insegna della spensieratezza, con un avvenimento mondano: il Ministro della Cultura Popolare (MinCulPop), Alessandro Pavolini, e quello della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, inaugurarono, il 30 agosto a Venezia, la 10^ Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.