L’urlo di Munch sta perdendo i colori

A darne la notizia esperti del Munch Museum di Oslo che lavorando con raggi X, laser e microscopio elettronico, hanno notato una decolorazione dal giallo all’avorio.
Si tratta di una condizione comune a gran parte dei dipinti realizzati tra il 1880 e i primi anni del 1900, questo perché a detta del ricercatore Nicholas Eastaugh, fondatore dell’associazione “Art Analysis & Research di Londra”, i colori perdono di intensità a causa dei cambiamenti della verniciatura. Essi infatti provengono dalla macinazione di minerali estratti dal sottosuolo e pigmenti derivanti da piante o insetti.
Lena Stringari, vicedirettore del Solomon R. Guggenheim Museum and Foundation, aggiunge ancora: “molti artisti lavoravano an plein-air sperimentando varie pitture e teorie dei colori, questo rese popolari i nuovi pigmenti”, non è un caso quindi che i fenomeni atmosferici abbiano influito sulla conservazione dei colori.
Il quadro in tutta la sua desolazione sembra predire uno scenario apocalittico.
Un uomo al calar del sole in compagnia di amici sembra avvertire sulle proprie spalle l’intero peso dell’esistenza come fosse ingabbiato, egli è privo di ogni tratto distintivo che renda possibile l’identificazione: corpo malleabile, volto anemico e verdognolo, bocca cianotica, occhi vitrei, tutte caratteristiche che unite alla veemenza dell’urlo rispecchiano l’essenza della natura che assorbe la sofferenza, distorcendo le onde dello specchio d’acqua e colorando il cielo color rosso fuoco.
Un urlo disperato che non si presenta unicamente introspettivo, ma analizza anche il rapporto tra l’uomo e i propri simili e l’uomo e la natura, un’interazione non sempre e per nulla facile, in cui le vie percorribili sono due: l’abbandono o la ribellione.

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