Capitolo chiuso!
Badoglio si è suicidato! La notizia, peraltro ripetutamente smentita, si diffonde ugualmente, con la velocità di un fulmine, in tutta Italia. La stampa, specialmente quella dei quotidiani milanesi, la diffonde con ostinazione.
A Roma, viene ripristinato il servizio di illuminazione cittadina, soprattutto per dare un sostanzioso contributo alla forze di polizia, impegnate nel combattere la dilagante delinquenza. Giuseppe Saragat viene nominato Ambasciatore a Parigi. Si apprende, con costante frequenza, di bambini e di operai delle squadre di ricostruzione, uccisi o gravemente feriti da ordigni esplosivi abbandonati. Una realtà, questa, che si trascinerà a lungo, ancora per anni dopo la fine della guerra.
Da Washington, giunge la notizia che: “I tedeschi stanno organizzando la Terza Guerra Mondiale. Un vero peccato per il III Reich e per i suoi sudditi. Invece di preparare la terza, potrebbero limitarsi a vincere la seconda!”. E’ il titolo che darà il via ai fiumi di inchiostro che saranno necessari per scrivere miliardi di parole sull’ipotetica fuga di Hitler in Amazzonia o in Antartide, sulle armi segrete nascoste, sulle organizzazioni clandestine che i nazisti avrebbero predisposto, soprattutto in Sudamerica.
Siamo nel mese di aprile del 1945. Nel settentrione, l’ora legale viene sostituita, con quella solare, il 2 aprile. I francesi attaccano la frontiera italiana, sul Piccolo San Bernardo, ma sono respinti dai paracadutisti del “Battaglione Folgore”, dopo quattro giorni di duri scontri. Altri paracadutisti, di un’altra “Folgore”, combattono, negli stessi giorni, contro le retroguardie tedesche, puntando verso Nord: sono quelli del ricostituito Regio Esercito. I bombardamenti, su tutto il territorio d’oltralpe da parte degli alleati, si intensificano bruscamente. Il “Corriere della Sera” annuncia: “I germanici contrattaccano dall’interno dell’anello della Ruhr”, un modo come un altro per dire che ormai sono accerchiati e non solo nella Ruhr. Tenacissima, la difesa tedesca sul fronte di Vienna”. Dopo breve tempo, sarà la volta di Berlino.
Il 13 aprile arriva, dagli Stati Uniti, l’inaspettata notizia che, il giorno prima, è morto il Presidente Franklin Delano Roosevelt. Hitler, a Berlino, sente riaccendersi la speranza, ma Benito Mussolini è più realista del dittatore tedesco. Sa benissimo che nessuna morte di presidente potrà ormai capovolgere le sorti. Tanto è vero che, dopo due giorni, Harry Truman gli succede alla Casa Bianca e la guerra, che non aveva peraltro avuto soste, continua come prima.
Nel porto di Bari, esplode una nave carica di munizioni: è un disastro. Le stime indicano 360 morti e 1730 feriti. Il conflitto si spinge in Germania, tra il Basso Elba e la Baviera. In Italia, preme al confine francese, sulla linea del Fiume Santerno. Gli Alleati puntano su Bologna, mentre sul fronte orientale, i profughi abbandonano campagne e città, incalzati dal terrore delle vendette degli iugoslavi. Vienna è ormai accerchiata, Berlino anche: è iniziata la corsa che vedrà russi e americani incontrarsi sull’Elba. Alessandro Pavolini, Segretario del Partito Fascista, si reca in Valtellina per approntare la “Ridotta Alpina”. Da parte loro, anche i tedeschi stanno ultimando un “Alpenfestung” (ridotta alpina), una fortificazione sulle Alpi, dove si asserraglieranno, spalla a spalla, in attesa della resa con l’onore delle armi. Si tratta di follie. Follie che illudono quanti, in buona fede, per un errato concetto dell’onore, hanno ritenuto opportuno continuare a combattere fino all’ultimo. Non certo i criminali e gli avventurieri. Quelli, più realisti e lungimiranti, non hanno nessuna intenzione di cadere con le armi in pugno e, difficilmente, la resa ne coglierà qualcuno sul “posto dell’onore”, dice il Corriere.
Gli Alleati premono su La Spezia, Bologna e Ferrara. Si combatte nelle Valli di Comacchio. “Berlino difesa da un formidabile sbarramento”: si sente dalla propaganda nazista. Ma la Capitale del Reich, in realtà, è ormai accerchiata. Nel meridione, i giornali echeggiano continuamente con annunci di spie denunciate., collaboratori smascherati, delatori processati, sospetti incarcerati. Ma dall’Italia centrale in giù, il “Dies Irae” è ormai passato. A parte le vendette personali, che esulano dall’amministrazione della legge, i colpevoli di reati politici, o i presunti tali, vengono arrestati e processati senza rischio di linciaggio, come è successo nei tragici giorni di Donato Carretta, il Direttore del Carcere di “Regina Coeli”, linciato durante il processo all’ex questore di Roma, Pietro Caruso, nel settembre del ’44. Le condanne a morte sono rare, anche il tono dei giornali non è più quello esaltato ed esaltante dei giorni più drammatici.
La vita si va regolarizzando; tornano alcuni tram; l’erogazione della luce, del gas e dell’acqua vanno migliorando visibilmente; si può pensare ad un futuro.
Il 20 aprile, a Salò, Mussolini riceve a rapporto il Presidente dell’”Opera Alleanza Cooperative Sequi”. Il giorno dopo, nella ricorrenza del “Natale di Roma”, il Ministro del Lavoro della RSI, Giuseppe Spinelli, parla “alle genti delle officine e dei campi”, in un radiomessaggio. I quotidiani riportano: “Furiosa lotta nella Valle Padana” e “Le epiche giornate di Berlino”. Bologna è abbandonata dai tedeschi, per risparmiarle ulteriori distruzioni. In realtà, non vale la pena di arroccarsi nella città, per poi difenderla. La guerra è arrivata ad un punto tale di tensione, da non far nemmeno prendere in considerazione un ragionamento che non sia solo ed esclusivamente pratico. “100 carri nemici distrutti davanti a Balogna”, scrive “Il Resto del Carlino”.
Il 24 aprile, Adolf Hitler invia un messaggio a Mussolini. Sarà l’ultimo. Naturalmente questa notizia viene riportata dalla stampa del 25, con il susseguirsi di tantissime altre: “In Val Padana, parecchie puntate nemiche bloccate in vari punti”. Parecchie…vari…non tutte, non ovunque, gli Alleati hanno fatto evidentemente saltare il catenaccio. In cronaca, al posto delle solite note di vita cittadina e provinciale, due grossi articoli che, assieme agli annunci economici, prendono quasi tutta la pagina (i giornali sono composti da un solo foglio): “Giuseppe Villaroel, il poeta forastico, è antistorico” e “La storia delle fontane di Milano”. Al teatro “Ars” è in programma lo spettacolo “Ba Bi Bo”, con Carlo Dapporto e Giorgio De Rege. Passa la notte tra il 25 ed il 26 aprile. Il “Corriere della Sera” titola: “Milano insorge contro i nazifascisti – L’ultimatum del CLN agli oppressori: arrendersi o morire”. E poi: “Ore memorabili – Mussolini scompare da Milano”.
Cosa sta accadendo al Nord? A Bologna e a Genova, ai due capi della linea Gotica, sono entrati, con largo anticipo sull’arrivo delle truppe alleate, i partigiani. E questo fenomeno, che è il suggello della Resistenza ad una guerra di popolo, si ripete in tutti i centri del territorio, in quelli importanti e nei minuscoli borghi. Sulle grandi città convergono le formazioni di montagna. Quando giungono le avanguardie anglo-americane, da tutti i balconi sventolano le bandiere. In Piemonte ed in Lombardia, le azioni coordinate tra le brigate partigiane, i GAP, gli operai ed i tecnici delle fabbriche hanno salvato migliaia di piccoli e grandi stabilimenti, ponti e linee ferroviarie. Già da alcune settimane, i tedeschi avevano minato tutto ed altre squadre di guastatori stavano per completare l’ultimo scempio.
I giorni che seguono sono gravidi di tensioni, entusiasmi, morti ed angosciose attese. Mussolini ed i suoi gerarchi vengono fucilati. I loro corpi esposti in piazza, a Milano. Le porte delle carceri spalancate ai detenuti politici. Inizia la conta, su quelli che mancano, forse a loro volta impiccati e sepolti chissà dove. Quanti sono ancora vivi, nei capi di sterminio nazisti, nei campi di prigionia, sparsi per il mondo? La festa di un popolo, offuscata da tante malinconie. La carestia, specialmente lungo il Po, è ancora dura. Ma sono finiti i bombardamenti. Si possono accendere le luci e spalancare le finestre. Si può cantare, correre a gruppi e sentire comizi. Ci sono applausi per tutti gli oratori, come in una ubriacatura generale. E’ il sapore della libertà. Dovunque si gira l’occhio è un’estensione di macerie. Bisogna ricostruire tutto, le strade, le case, le scuole e le fabbriche.
La drammatica avventura, incominciata il 10 giugno 1940 è finita ed ora bisogna rapidamente voltare pagina.