La Dogana Borbonica di Calvi nel racconto del ciclista-filosofo Brandetti e del ricercatore prof. Mesolella

Roberto Brandetti è uno del gruppo di ciclisti-filosofi, atleta del pensiero che ama muoversi a colpi di pedale, che riflette intorno alla bicicletta, in forma di brevi saggi divulgativi e senza dimenticare il sorriso. Nei suoi testi la bicicletta diventa non solo un mezzo per leggere le piccole cose della nostra quotidianità, ma anche per leggersi divenendo ora strumento di ascesa, rivoluzione, recupero di un tempo lento e naturale che le scadenze imposte da una società sempre più frenetica non consentono di gustare appieno. Per Brandetti nel pedalare si può arrivare ad isolarsi dal mondo riuscendo ad ascoltare solo il battito del proprio cuore, ad assaporare la strada, il vento, la fatica e scoprire che il pedalare è un mezzo allo stesso tempo tecnologico ed ecologico, quotidiano eppure avveniristico che fa ritmo, linguaggio, musica e rivela un mondo che ha i colori della passione e l’intensità che solo un entusiasmo sempre giovanile sa garantire.
Roberto Brandetti a conferma e a testimonianza di ciò socializza che nelle passeggiate in bicicletta, spesso si trova in luoghi storicamente interessanti, ma che lasciano sbigottiti per come vengono conservati. Uno di questi luoghi è lungo la Strada Statale n. 6, Casilina, e precisamente Calvi Risorta e nel percorrere l’arteria si imbatte in una struttura dove tra immondizie e buche, si erige un cartello con scritto “Dogana Borbonica”. La Dogana Borbonica di Calvi Risorta risale al XVIII secolo, ha pianta quadrata ed è definita da quattro pilastri angolari su cui si sviluppano altrettanti archi a tutto sesto con copertura a volta a vela intersecata nella parte centrale da un tamburo ottagonale nel pieno stile dell’epoca ed è situata tra il Castello angioino aragonese del secolo XII, il Seminario diocesano del secolo XVIII e la Cattedrale romanica del secolo IX. Brandetti scrive che “l’ambiente circostante è in pessime condizioni” e che questi luoghi sembrano quasi infastidirci, ruderi insignificanti, ricordati solo da un cartello arrugginito, unico gesto apatico che la nostra società gli concede e che la storia ci avvolge continuamente ma noi non c’è ne accorgiamo, non facciamo niente per ricordarci del grande passato, non vogliamo capire che programmare il futuro significa ridare vita a questi luoghi dimenticati (o non sufficientemente valorizzati).
Il Dirigente Scolastico Paolo Mesolella riuscì nel 2012 ad avere tra le mani una corrispondenza di guerra – Gazzetta di Milano del 1° novembre 1860 – ove si racconta, in modo dettagliato, il passaggio e la sosta di Giuseppe Garibaldi a Calvi “… Il figlio di Garibaldi, Menotti, …, ci dice suo padre è a Calvi, che il Re è passato lì il mattino… Dagli ufficiali superiori ci viene confermato che Garibaldi è a Calvi e il Re a Teano … Finalmente giungono a Calvi (la Deputazione Palermitana per la consegna delle 800 medaglie fatte coniare per gli 800 sbarcati a Marsala e l’invito a ritornare sull’isola). Garibaldi era lì. Calvi è appena un villaggio… Le case sono tutte chiuse … gli è toccato alloggiare nell’antico corpo di guardia de’ Carabinieri … Figuratevi una sola stanza quadra, con il tetto a cupola bassa. Le pareti nere, nerissime dal fumo, non pavimento, ma nuda terra …”. Sulla scorta dell’interessante contenuto della predetta Gazzetta di Milano il Prof. Mesolella scrive che “Sulla piccola Dogana borbonica di Calvi si dovrebbe sistemare una targa con scritto <Qui ha sostato Giuseppe Garibaldi il 26 ottobre 1860> e che la Dogana borbonica calena, oltre ad essere stata importante sentinella a guardia del valico per Capua, conserva un grande fascino: fu qui e non nel palazzo baronale che si sistemò Giuseppe Garibaldi”.
Qualsiasi commento/considerazione si ritiene completamente superfluo.

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