Dove sono finiti gli altri?
In queste ultime settimane di Covid-19, un periodo che tra qualche tempo comparirà nei libri di storia, tutto l’interesse mediatico si è giustamente concentrato prima sull’emergenza sanitaria, poi su quella economica e, da pochissimo, sull’auspicabile e necessaria ripartenza del Paese. Un copione, a ben pensare, che ricalca esattamente quello di un qualsiasi evento bellico al netto, almeno per ora, dell’assenza della pistola fumante e del casus belli (anche se qualche dubbio viene…). Ad ogni modo, in questa tipologia di copione, come accaduto anche in passato, c’è una massa onerosa di effetti collaterali che inizialmente vengono totalmente eclissati per poi, tragicamente, essere riportati a galla a colpi di numeri, statistiche e appelli. A più riprese, nonostante l’incredibile caos generato dai mostruosi numeri dell’emergenza e dei morti nella sfortunata Lombardia, diversi medici hanno iniziato a lanciare appelli agli organi competenti e poi, certi del problema, agli stessi cittadini che, per paura, hanno drasticamente ridimensionato gli accessi ai vari Pronto Soccorso degli ospedali nazionali per patologie gravi ma diverse dal Covid19. Certo, considerando le difficoltà di cura di alcune fasce sociali, come pure di tempestività delle stesse in qualsiasi fascia reddituale, bisogna considerare che da tempo i PS sono spesso saturi per patologie non propriamente emergenziali o, come si suol dire, “tempo-dipendenti”. Non a caso la sanità italiana ha implementato il famoso sistema di Triage per reindirizzare i malati nei giusti percorsi d’emergenza e, tra le altre cose (almeno teoricamente), per far pagare un contributo ai “pazienti che senza pazienza” si rivolgono ad un PS per patologie non urgenti. Fin qui, ovviamente, è tutto pacifico ed è normale che una parte degli utenti sia sparita a causa della giusta paura di restare infettati proprio in un presidio ospedaliero, ma i numeri comunque non tornano. In particolare l’allarme è stato lanciato dalla Società Italiana di Cardiologia (Sic) che, sorpresa di questo strano calo di presenze nei PS nazionali, ha condotto un’indagine su un campione di 52 unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) in tutta Italia scoprendo che la diminuzione dei ricoveri per infarto del miocardio e ictus era comune a tutta la nazione. Ma se al nord, causa saturazione delle strutture ospedaliere, c’era da aspettarsi un tale calo, al centro-sud, dove fortunatamente il virus non ha generato i numeri della tragedia lombarda, si è ugualmente registrato un simile calo e la stranissima sparizione dei pazienti con infarto e ictus. Nei reparti UTIC, quindi, la SIC ha segnalato una riduzione di accessi di circa il 50% per infarti, del 40% per scompenso cardiaco, del 30% per fibrillazioni atriali e del 35% per problematiche legate a malfunzionamenti di pacemaker e defibrillatori. Altamente improbabile che gli infarti siano regrediti a causa del COVID19, anzi è molto più probabile doversi attendere, appena la situazione permetterà uno studio più attento del problema, un drastico incremento statistico di decessi legati ad infarto e ictus non trattati in tempo, molti dei quali avvenuti in casa senza allarmare il 118 o altre strutture sanitarie. La paura del contagio, quindi, sta procurando un effetto collaterale gravissimo che, per il momento, risulta “non pervenuto” nei controlli ministeriali perché tutti sono giustamente concentrati sull’attuale emergenza e sul contenimento del contagio. Diversi i casi che si possono portare ad esempio. Lo scorso 27 marzo un uomo di Teramo con forti dolori al petto ha perso la vita a 52 anni perché non ha voluto rischiare un presunto contagio andando in ospedale. Stessa storia, appena 10 giorni prima, in Versilia per un altro paziente che, sempre temendo il coronavirus, ha ritardato in modo estremo la richiesta di soccorso giungendo così troppo tardi per esser salvato dai medici toscani. Una situazione, quindi, che sta mettendo a grave rischio migliaia di cittadini che, però, come afferma proprio la SIC, NON DEVONO AVER PAURA DI ALLERTARE SUBITO I CANALI DI SOCCORSO. Il dolore al petto e al braccio, sbandamenti, difficoltà di parola, dispnea, sudorazione fredda, etc., devono sempre (e sottolineo sempre) suggerire che si possa essere di fronte ad una emergenza cardiovascolare che è totalmente dipendente dal tempo di intervento. Meglio quindi rischiare il contagio che ritrovarsi nelle condizioni di non poter essere più aiutati dai sanitari in caso di conferma di patologie gravi quali ictus, infarto, fibrillazioni, etc. Tra l’altro, come si può anche verificare ascoltando un normale telegiornale, quasi tutti gli ospedali hanno oramai correttamente attrezzato percorsi differenti per i sospetti casi COVID19 e per le altre onnipresenti patologie cardiovascolari che, ricordiamo, sono la prima causa di morte nel mondo. Non esiste solo questo funesto virus. Ricordiamoci di tutto ciò che è sempre esistito e contro cui combattono giornalmente medici e pazienti.