A 75 anni dalla “Liberazione” non abbiamo ancora accettato l’Unità Nazionale
Che sia diverso questo 75° anniversario della Liberazione dal nazifascismo, data sempre meno identificata con un evento incredibilmente fondamentale per la nostra storia nazionale, lo si vede dalle strade deserte e dalle tante vittime del CoronaVirus. Dopo la Seconda guerra mondiale, la tragedia che ci ha consegnato appunto la “Liberazione”, questa emergenza è la più grave e incredibile sciagura capitata agli italiani dalla fine del periodo più distruttivo della storia umana. I numeri da brivido delle vittime del Covid19 fanno eco alle tante voci, come me, che da anni si occupano, sicuramente con più autorevoli capacità, del conflitto che cambiò il mondo e soprattutto l’Italia. Migliaia di morti concentrati nel tempo e nello spazio, crollo totale dell’economia, blocco della normale vita sociale, emergenza generalizzata e speculazioni vergognose su generi necessari tra cui i fondamentali dispositivi di protezione. Molti fratelli improvvisamente incapaci di mettere insieme pranzo e cena. Non solo. Arroganza per le strade di chi se ne frega degli altri ignorando le norme emergenziali, abusi di chi non accetta nemmeno le legali giustifiche di chi sta portando una figlia “trapiantata” a fare una necessaria visita di controllo fuori dal proprio comune di residenza. E ancora il caos, l’intolleranza, la separazione, la mancanza di umanità, l’arroganza, gli insulti, il sotterfugio, l’epidemia, i morti. Non vedo nulla di differente da ciò che studio da anni tranne, per fortuna, l’assenza di bombe che cadono distruggendo edifici, fabbriche e monumenti. Siamo in guerra, è innegabile. Eppure, dicono gli “esperti”, che oggi sono milioni di volte più pervasivi e mediatici dei propagandistici cinegiornali fascisti, all’epoca controllati e ben studiati dal mitologico Min.Cul.Pop. (Ministero della Cultura Popolare), gli italiani danno il meglio di sé quando vivono tragedie immense come una guerra o come un’epidemia. Ma ne siete davvero convinti? Per settimane, mentre scorrevano giornalmente i numeri dei morti della Lombardia e delle altre meno sfortunate regioni, da nord a sud, abbiamo assistito ad un continuo sciacallaggio politico e mediatico, all’eterna contrapposizione tra le regioni “buone” e quelle “atavicamente dichiarate cattive“, alla contrapposizione tra ricercatori, tra ospedali, tra sperimentazioni, tra amministrazioni locali, tra cittadini di uno stesso quartiere. Il dito, sempre quel dito pronto a puntare qualcuno e qualcosa, sempre pronto a dire noi abbiamo trovato, noi abbiamo fatto, voi non siete capaci o, ugualmente in modo infame, “voi non siete migliori e questa volta il virus lo ha dimostrato”. E poi che dire di un giornalismo che si meraviglia di una città italiana del sud che ha un ospedale “eccellente” citato come esempio dalla stampa estera, o che si dispera per strade ordinatamente deserte dove invece la narrazione storica e il preconcetto, diventati oramai macchietta nazionale, vorrebbero sempre vedere e dimostrare un presunto Far West o, peggio, una simulazione come quella del film «Benvenuti al Sud» dove alla coprotagonista milanese, per non deluderne le convinzioni, si era organizzata una finta sparatoria con scippo e urla animalesche? Ma più di tutto, tra risatine, occhiatine e passive accettazioni, un direttore di testata, sovvenzionato con i soldi di tutti i contribuenti, dice candidamente che considera i cittadini del sud degli “esseri inferiori”. Ecco, per me che celebro ogni anno il 25 aprile con la serena e intima convinzione di un regalo pagato con il sangue di tanti italiani, di ogni schieramento, di ogni religione, di ogni orientamento sessuale e di ogni zona del Paese, domani non sarà una festa. Non può e non potrà più esserla fino a quando non si impegneranno le migliori forze politiche nazionali per far capire a tutti gli italiani, da nord a sud, passando per le nostre belle isole, che è arrivato il momento di accettare l’Unità Nazionale, che esiste un’Italia e non il nord, il centro o il sud. Esiste con pregi, difetti, eccellenze, disgrazie, colpe e meriti di tutti. Non ha più senso celebrare una festa per la liberazione di un popolo che non ha ancora capito di essere popolo, di una mera espressione geografica che ha saputo, sul sangue di tanti giovani di inizio ‘900, diventare una nazione laddove gli “austroungarici” (concedetemi di citare il grande Totò) la consideravano una semplice accozzaglia di ignavi. Bisogna finalmente avere il coraggio di ripercorrere la storia di questo popolo, insegnargli l’amor patrio, fargli comprendere il senso di unità ed appartenenza e dopo, solo dopo, passare alla storia della Seconda guerra mondiale. Impariamo a liberarci del razzismo e del vetusto feudalesimo vestito da riforma dell’Art. V della Costituzione e sediamoci finalmente allo stesso tavolo stringendoci la mano. Se non lo faremo ora, uscendo da questa nuova guerra, non lo potremo fare più.