Applicazione del DIU nei conflitti armati internazionali, non internazionali e destrutturati
Il “conflitto armato internazionale” è descritto come lo scontro tra le unità in armi di due o più Nazioni, o quando le operazioni belliche interne hanno avuto diffusione sovrannazionale a causa dell’intervento di azioni coordinate di peacekeeping o peace-enforcement delle United Nations, oppure di forze militari di Stati terzi. Il “conflitto armato non internazionale” è lo scontro tra le unità armate di una Nazione con reparti in armi non regolari coordinati da un’autorità facente funzioni di comando, o la contrapposizione tra varie compagini militarizzate non facenti parte delle truppe regolari del Paese teatro dei combattimenti. Triplice è la suddivisione dell’applicazione dell’International Humanitarian Law a seconda del caso di conflitti armati internazionali, non internazionali, o dei cosiddetti nuovi conflitti (destrutturati o di identità). Ai primi e alle guerre di liberazione interne vengono applicate le norme contenute nelle Convenzioni di Ginevra e nell’ordinamento giuridico del Primo Protocollo aggiuntivo, mentre agli altri due si applica l’Art. 3 comune delle quattro Convenzioni e del Secondo Protocollo. I criteri di protezione nei conflitti armati transnazionali e nelle guerre di liberazione nazionali si indirizzano alle seguenti categorie di persone: soldati infermi e personale sanitario FF.AA.; militari malati, naufraghi e personale sanitario marittimo FF.AA.; prigionieri di guerra e civili (forestieri, rifugiati, reclusi, internati politici, ricoverati, le équipe assistenziali, le squadre di Protezione Civile e il personale religioso). I canoni di tutela nei conflitti armati non internazionali si indirizzano ai reparti in armi che prendono parte alle operazioni belliche, e tali unità possono essere sia dell’organico regolare che non regolare, e proteggono chiunque non sia implicato, o non sia più partecipe al conflitto: militi infermi, reclusi aventi attinenza alle operazioni belliche, i civili, i team assistenziali e il personale religioso. L’Art.3 comune, il cosiddetto “Trattato in miniatura”, impone un corpus legislativo in caso di conflitto armato non sovrannazionale riguardo la condotta da impiegare verso coloro che non prendono parte di persona alle azioni di guerra, e tra questi vengono inclusi anche chi, già in armi, si è arreso, e altresì anche coloro che sono stati colpiti da patologie, pene restrittive, o sono stati feriti. Il Trattato riprende il concetto romano della voluntate benefica benevolentia movetur (la benevolenza è messa in moto da una volontà che mira al bene): vengono richiamati valori come solidarietà e indulgenza a prescindere dal genere, dallo status sociale, dal credo e dal colore della pelle. L’elaborato si oppone all’uso della violenza, agli omicidi, alle amputazioni, alle sevizie e alle torture; vieta il sequestro di ostaggi e il loro utilizzo come mezzo di ricatto, e proibisce ogni forma di vilipendio alla rispettabilità della persona; indica associazioni come il Comitato Internazionale della Croce Rossa quali organismi solidaristici, filantropici, e al di sopra delle parti che possono svolgere la nobile funzione di recupero dei feriti ed assisterli. Con l’espressione “nuovi conflitti” si intendono le operazioni belliche destrutturate e gli scontri di identità. Nei primi si delinea il logoramento delle competenze dello Stato, o addirittura il disfacimento totale delle strutture pubbliche e nazionali: tale condizione di caos, disordine e vacatio legis permette ad organizzazioni militarizzate e gruppi armati di assumere il comando del Paese stesso. I conflitti di identità hanno motivazioni ancora più insensate, aberranti e insostenibili: vengono attuate azioni violente, soprusi e vessazioni contro persone appartenenti a minoranze sociali di tipo etnico, culturale o religioso per preservare l’identità del gruppo prevalente. Sinonimo di “conflitto di identità” è “conflitto etnico”, espressione che ci riporta alla famigerata etničko čišćenje, cioè al terribile concetto di “pulizia etnica”. Il tutto nasce da un vero e proprio condizionamento ideologico dovuto ad una persuasione coercitiva, un plagio psicologico e da campagne pubblicitarie denigratorie che determinano prepotenze, maltrattamenti e angherie. Nel Diritto Internazionale Umanitario non si hanno conflitti antinomici, lacune normative o mancanza di prescrizioni, ma difficoltà di attuazione a causa dei disordini e dell’uso improprio degli armamenti.