de Chirico e il Canto d’amore
Giorgio de Chirico, il celebre pittore italiano d’origine greca, è stato uno dei massimi esponenti della corrente della pittura metafisica, il movimento artistico che tende a riprodurre l’esperienza metempirica, a mostrare le conoscenze soprasensibili, che va al di là della realtà immanente. Un fortuito incontro con il pittore ferrarese Filippo de Pisis e con l’artista quargnentino Carlo Carrà portò alla formulazione teoretica della pittura metafisica. Epicentro dell’avanguardia del linguaggio pittorico in conflitto con il Futurismo fu la città estense, in Emilia-Romagna: l’arte maggiore vide un revival del gusto estetico dell’Ellade classica e della raffinatezza artistica dell’antica Città Eterna, contestualizzato in scenari onirici, ambienti kafkiani, situazioni irreali. “Canto d’amore” è un olio su tela realizzato dal Nostro nell’anno 1914, ed è attualmente conservato presso il MoMA di Manhattan, il Museum of Modern Art statunitense dedicato all’arte contemporanea. Il dipinto mostra una grande scultura della testa dell’Apollo Pitico di Leocare, una statua collocata nel Cortile del Belvedere in Vaticano, reminiscenza dell’epoca classica, e nelle vicinanze, attaccato ad una parete, campeggia un enorme guanto di gomma dal caldo colore rosso arancione: a terra spicca un globo verde con una struttura edilizia e l’osservatore, in controluce, vede la sagoma di una vaporiera che lascia i suoi fumi nell’aria. Il dipinto non presenta esseri umani, non mostra persone, non rivela alcun individuo: è palese l’assoluta mancanza del concetto di esistenza umana e dell’arco vitale, inoltre l’ombra del pollice del guanto non è coerente con la posizione dello stesso. Il profondo e il subcosciente dell’essere umano vengono rappresentati in uno scenario acronico, in una realtà atemporale presunta con sfondi cromatici monocorde e proiezioni d’ombra più estese in rapporto alla norma. Il genere umano è estromesso da figure inanimate e da sculture: lo spettatore, osservando quei luoghi romiti e quelle architetture iconiche, percepisce un grande senso di isolamento e sente il peso della solitudine. Le figure sono disposte sulla tela mediante una prospettiva che utilizza fuochi senza connessione logica: i punti di fuga non sono immediatamente riconoscibili, ma devono essere determinati dallo sguardo attento dell’osservatore. Dalle prime sperimentazioni pittoriche criptiche degli esordi, de Chirico passa all’arte metafisica vera e propria, dove dipinge figure decontestualizzate con smodata meticolosità, privilegiando le tonalità fredde del blu, la gamma cromatica del rosso vermiglione, e le nuance del colore secondario del verde.