Una vita in fuga

In un’Italia che rischiava di essere coinvolta in una guerra civile e che doveva fare i conti con la ricostruzione post bellica, lo sport del 1949 continuava a far sognare e ad illuminare la buia ed incerta realtà di tutti i giorni.
Il “Grande Torino” incantava, non solo la sua città ma l’intera nazione, con un’infinita serie di straordinarie vittorie. Erano, però, i duelli ciclistici, condotti ruota a ruota e spalla a spalla tra “l’Airone e Ginettaccio”, tra Fausto Coppi e Gino Bartali (il trionfo di quest’ultimo al Tour de France del ’48 scongiurò lo scoppio di un conflitto sociale, dopo l’attentato a Palmiro Togliatti), ad infuocare gli animi degli italiani. E fu proprio l’Airone, il 24 luglio del ’49, ad entrare nella leggenda. Primo, nella storia del ciclismo, vinse nello stesso anno, sia il Tour de France che il Giro d’Italia. Un’impresa che ripetette nel 1952.
Dino Buzzati, il grande giornalista e scrittore bellunese, non a caso, ricordava così quel risultato: “Non rivedremo più che due corridori fino alla fine, il fuggiasco e l’inseguitore, due eroi che si disputano il regno”. A queste parole, si unirono quelle di Gianni Brera che, il 27 luglio 1949, su “La Gazzetta dello Sport”, scrisse: “Una invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta”.
Fausto Coppi, il fuoriclasse piemontese nato a Castellania il 15 settembre 1919, ottimo velocista ed eccezionale scalatore, vinse cinque volte il Giro d’Italia (nel ‘40, ‘47, ‘49, ‘52, ‘53), un record condiviso in seguito con Binda e Merckx, e due volte il Tour de France (nel ’49 e nel ‘52), oltre ai Giri di Lombardia (1946, ‘47, ‘48, ‘49, ‘54), alle tre vittorie della Milano-Sanremo (1946, ‘48, ‘49), ai successi alla Parigi-Roubaix e alla Freccia Vallone, in Belgio nel 1950. Fu anche Campione del Mondo d’Inseguimento, nel 1947 e nel 1949, e primatista dell’ora (con 45,798 km) dal ‘42 al ‘56.
Leggendaria, come già accennato, la sua rivalità con Bartali, forse anche per le loro presunte divergenze politiche, tendenti al “rosso” quelle di Fausto, decisamente al “bianco” quelle di Gino. L’affetto e la stima che reciprocamente nutrivano l’uno per l’altro, rese ancora più nobile quella sana rivalità. Rimane un patrimonio storico la fotografia che ritrae i due campioni mentre si passano una borraccia, durante una salita al Tour de France del 1952.
Ma Coppi fu anche, suo malgrado, un protagonista della quotidiana realtà nazionale e non solo per le sue prodezze sulle due ruote. “Il Campionissimo”, sposato dal 22 novembre 1945 con Bruna Ciampolini e padre della piccola Marina, nel 1953 si innamorò di Giulia Occhini, la “Dame en blanc”, la “Dama Bianca”, secondo una fortunata definizione della stampa francese, apparsa per la prima volta sul quotidiano sportivo “L’Équipe”, dopo una tappa del Giro del 1954. Commentando quella vittoria, al traguardo di Saint Moritz, Pierre Chany, scrisse: “Vorremmo sapere di più di quella signora in bianco che abbiamo visto vicino a Coppi”, definendola così per via di un montgomery color neve che indossava spesso.
La Occhini era moglie di Enrico Locatelli, un medico condotto di Varano Borghi e grande “fan” di Coppi, si direbbe oggi. Fu proprio suo marito a chiederle di procurargli un autografo del campione, nel 1948, al termine della “Tre Valli Varesine”. In un Paese che ancora non conosceva e nemmeno immaginava una legge sul divorzio (1974), in un Paese dei Peppone e dei Don Camillo di Giovannino Guareschi, si formarono subito due fazioni: innocentisti e colpevolisti. In breve, Fausto Coppi e Giulia Occhini vennero processati. Lei trascorse tre giorni nelle carceri di Alessandria, per abbandono del tetto coniugale, prima di essere condannata al domicilio coatto, da trascorrere ad Ancona presso una zia. All’asso del ciclismo venne ritirato solo il passaporto.
Nel marzo del 1955, una sentenza definitiva li condannò, rispettivamente, a due e tre mesi di reclusione, con la condizionale. La “Dama Bianca” ebbe un mese in più, poiché l’epoca era più feroce, sull’argomento, con il gentil sesso. I due dovettero espatriare, prima in Messico per sposarsi e poi in Argentina per dare alla luce Angelo Fausto (detto “Faustino”) e poter dare al bambino il cognome del padre. Si lasciarono, però, pochi anni dopo.
Nel 1959, Fausto Coppi, volato in l’Africa per partecipare ad una corsa e ad una battuta di caccia, contrasse la malaria. Mentre all’amico corridore francese Raphaël Géminiani la patologia venne subito individuata e curata in modo appropriato, a Fausto i medici diagnosticarono solo una forte influenza. Così le sue condizioni si aggravarono rapidamente, morendo, a soli quarantuno anni, a Tortona, il 2 gennaio 1960.
La Occhini si spense nel gennaio 1993, per le conseguenze di un grave incidente stradale di cui era rimasta vittima diciassette mesi prima proprio, ironia della sorte, davanti a Villa Coppi, a Novi Ligure.

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