Atena Parthènos
Della statua di Atena Parthènos realizzata dall’artista ateniese Fidia, vissuto nel V secolo a.C., ne abbiamo notizia in un trattato del II secolo d.C. dal titolo “Helládos Periēghēsis” dello scrittore Pausania: nell’Ellade classica una “periegesi” consisteva in una relazione storiografica contenente resoconti riguardo tradizioni, riti, cultura e folklore di un determinato percorso antropogeografico. Il I libro è dedicato all’Attica, dove viene descritta minuziosamente la parte alta della Città-Stato, l’Acropoli, e dove si narra del Re dell’Epiro e dei Generali di Alessandro III di Macedonia, i Diadochi; Pausania, parlando dell’ἀγορά, tratta delle opere scultoree presenti nella “piazza principale” del centro abitato, con i suoi delubri, i santuari monumentali, gli edifici del potere politico e i complessi amministrativi. L’archeologo del New Hampshire William Bell Sr. Dinsmoor, Direttore dell’Istituto Archeologico d’America, afferma che un rogo ha deteriorato gravemente l’opera nel II secolo a.C., e un incendio divampato nel V secolo d.C. ha raso al suolo la Dea della guerra. La “Vergine Atena”, realizzata presumibilmente nel 438 a.C., era un’opera crisoelefantina, cioè una statua con l’ovale e gli arti eburnei, e la chioma e i vestimenti aurei, inoltre la scultura era ornata con numerose gemme preziose. Nel tempo sono stati riprodotti numerosi esemplari del simulacro che permettono agli studiosi la ricostruzione virtuale dell’archetipo originale: si presume che la Dea guerriera, figlia “protégé” di Zeus, abbia avuto un’altezza di oltre dodici metri e che sia stata sistemata nel tempio a lei dedicato, il Partenone. È verosimile, data l’imponenza dell’opera, che l’artista avesse realizzato una struttura portante sulla quale collocare le parti della deità rappresentata. La divinità olimpica dei Dodekatheon era posta in piedi con indosso un bianco peplo, con una sorta di lorica recante l’incisione di uno spirito anguicrinito, ed era in assetto di guerra con reminiscenze di antiche “machìe”: il clipeo mostrava ornamenti esteriori di scene dell’“Amazzonomachia”, la lotta tra i Greci e le donne guerriere della Scizia, e presentava come ornamenti interni scene della “Gigantomachia”, la lotta tra i mitici Ctoni e i Dodici Olimpi; l’aspro scontro tra il popolo dei Lapiti e i Centauri, la “Centauromachia”, avvenuto durante le nozze del Sovrano Piritoo e la Principessa Ippodamia di Pisa, sembrerebbe sia stato rappresentato sui calzari del Nume guerriero. Dietro lo scudo si celava il figlio del Dio del Fuoco Efesto, il rettile ofide Erittonio, cresciuto nel tempio dell’Eretteo dalla stessa Dea Atena. L’essere divino della Sapienza portava con sé una picca e indossava un elmo a tre cimieri con l’immagine mitologica della sfinge ed altre figure zoomorfe. A destra una raffigurazione della Divinità aligera della Vittoria sorretta da Atena mentre poggia il dorso della mano su un piedritto.