L’antico cammino delle pallotte cacio e ova
Le Pallotte cacio e ova le ho amate prima ancora di averle conosciute, le ho amate da quando Nicole, la figlia del mio amico Fabrizio, me le raccontava minuziosamente dalla preparazione alla tavola, di come fossero indiscutibilmente il suo piatto preferito lasciandone intendere il principale motivo: aveva la consuetudine di prepararle di domenica assieme a nonna Carmela (alla quale impediva però di mettere il pepe). Il tempo che i nipoti trascorrono con i nonni è sempre buon tempo di qualità, e le Pallotte mi sono sembrate, da subito, il paradigma dei legami che tengono insieme le generazioni. Quelli capaci di dare profondità alle radici e robustezza di carattere.
Un piatto della cucina popolare, nato probabilmente tra le mani dei pastori transumanti sugli antichissimi percorsi dei tratturi dell’Abruzzo e del Molise, una combinazione di pane raffermo e avanzi di formaggio a formare una sorta di polpetta da consumare assieme al vino, che aiutava a scaldare il corpo dal freddo, e l’anima dalla lontananza degli affetti. La ricetta vera e propria nasce però, più tardi, dall’elaborazione che ne seppero fare tra le mura domestiche le massaie, che ci aggiunsero le uova e un semplice, ma delizioso, sugo di pomodoro e basilico.
Non so se sono nel giusto, ma io ne ricavo che in virtù del percorso che hanno fatto dai tratturi alle case, le Pallotte sono una pratica antica, diventata poco alla volta, cultura di popolo tra le più autentiche. Una cultura in viaggio, tanto da evolvere da Carmela a Nicole; ad entrare qualche anno fa nella guida Street Food che il Gambero Rosso dedica ai più rappresentativi cibi di strada italiani; fino ad avere, oramai, un posto di riguardo nelle pagine dei menù dei migliori ristoranti regionali.
Per conto mio è già da parecchio che non me le faccio mancare ogni volta che mi capita di passare un po’ di tempo (sempre insufficiente) in quello spazio meraviglioso nel quale non ho mai certezza di essere in Molise oppure in Abruzzo. Quello che tra un Montepulciano e una Tintilia, è capace di tenermi con i piedi per terra e spaesarmi al contempo.
Per tutti quelli che non hanno la fortuna di conoscere nonna Carmela né avere un’amica molisana o abruzzese a cui chiedere, il consiglio è di pescare nel web una delle possibili varianti della ricetta e provare a realizzarle (senza mancare di un pizzico di pepe) assieme a chi volete più bene.