La Fontana dei Quattro Fiumi
Piazza Navona, agorà monumentale della Città Eterna, è un prezioso scrigno d’arte a cielo aperto: il visitatore può ammirare, tra l’altro, le Fontane del Nettuno e del Moro, la Chiesa barocca di “Sanctæ Agnetis in Agone” del Borromini, e l’Ambasciata del Brasile con sede nel Palazzo dei Principi Doria-Pamphilj. Tra questi capolavori d’arte è da annoverare anche la Fontana dei Quattro Fiumi dello scultore partenopeo Gian Lorenzo Bernini, realizzata in marmo di Carrara, travertino e bronzo verso la metà del XVII secolo. Il monumento fu voluto dal successore di Sua Santità Urbano VIII, Giovanni Battista Pamphilj, eletto Pontefice della Chiesa cattolica il 15 settembre 1644 con il nome di Innocenzo X. La tradizione popolare vuole che la Principessa di San Martino al Cimino, Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, cognata del Vicario di Cristo, abbia influenzato la decisione papale per l’assegnazione della realizzazione dell’opera all’“uomo universale” della Città vesuviana, il quale, in precedenza, aveva effettuato per la Nobildonna viterbese una replica d’argento in scala ridotta. L’idea era quella di una serie di scogli in “marmor lunensis” disposti a formare una cavità naturale con quattro uscite: il capolavoro è formato da una tazza a pianta ellissoidale in marmo bianco, un imponente gruppo scultoreo, e il cosiddetto “Obelisco Agonale”, uno dei 9 monumenti commemorativi dell’Egitto faraonico della Capitale, realizzato nel I secolo d.C. ad emulazione degli originali egizi. Dopo una dislocazione voluta dell’Imperatore Marco Aurelio Valerio Massenzio nel IV secolo d.C. presso la propria residenza, Sua Santità Papa Innocenzo X, nel XVII secolo fece posizionare l’obelisco nella fontana dall’artista napoletano. Sulla parte superiore della zona rocciosa sono collocati due blasoni in marmo dei Principi del Sacro Romano Impero Doria-Pamphilj. Il succitato gruppo marmoreo è un “tropo”, una realizzazione metaforica di giganti adamitici che rappresentano quattro fiumi: il corso d’acqua africano del Nilo, il fiume indiano del Gange e quello dell’Europa centro-orientale del Danubio, e l’estuario dell’America Meridionale del Río de la Plata (Fiume dell’Argento). Il primo colosso figurale, il “Grande fiume” Iteru, è stato realizzato dallo scultore romano Giacomo Antonio Fancelli: il gigante cela il viso con un drappo perché, illo tempore, non ne erano note le sorgive; l’artista parigino Claude Poussin, conosciuto nel nostro Paese con gli pseudonimi di “Claudio Porissimo” o “Claudio Francese”, scolpì il mito traslato del Gange con pagaia per sottolineare la transitabilità delle acque del fiume che nasce dall’Himalaya; l’elvetico Ercole Antonio Raggi, noto con il soprannome di “Lombardo”, modellò la metafora marmorea del Danubio; e il toscano Francesco Baratta lavorò al gigante del Río de la Plata, che mostra un braccio verso l’alto e una bisaccia colma di monete a ricordo della tonalità argentea del toponimo. La plasticità dell’opera evidenzia uno studio delle forme anatomiche scrupoloso e sistematico: i giganti denotano possanza, forza e vigore fisico, e la nudità ideale ed eroica di reminiscenza ellenica innalza l’uomo, essere mortale, ad entità empirea. L’obelisco è sormontato da una colomba bronzea simboleggiante lo Spirito Santo che richiama l’Arma gentilizia del Santo Padre così blasonata: “Di rosso, alla colomba posante d’argento e imbeccante un ramo di ulivo al naturale, col capo d’azzurro, caricato di tre gigli d’oro divisi da due verghette di rosso congiunte al capo”. Il columbide non è l’unico animale presente nell’opera berniniana: dei piccoli delfini sono visibili qua e là; un elegante destriero è in procinto di gettarsi a briglia sciolta in un travolgente galoppo; un rettile riprodotto verosimilmente da un antico “Bestiarium” si muove da nord; un fiero leone ruggente intende soddisfare la propria sete nei pressi del palmizio; un rettile mitologico si avvolge intorno al remo del colosso dell’India e del Bangladesh; un serpente si muove sibilando tra le rocce, ed infine una Hydrophiina ed un pesce con funzioni architettoniche drenanti nuotano tra le acque trasparenti. I sentimenti che lo spettatore prova sono quelli della sorpresa, dello sbalordimento, dell’inaspettato: l’animazione del microcosmo della fonte artificiale emula l’oggettività della realtà umana, faunistica e della flora in scala superiore. Gli astanti, da prospettive diverse e da angolature differenti, individuano eleganti ricchezze di dettagli, ricercati virtuosismi plastici e sofisticate sfumature estetiche. La presenza delle forti correnti d’aria è “scolpita” nei rami e nelle fronde del palmizio, e, tra l’altro, la scomposta criniera del cavallo rafforza l’effetto scenico dell’“allestimento teatrale” voluto allo “stage designer” napoletano, che non mancò di impreziosire il “palcoscenico” con nuance auree e tinte fortemente espressive.